Di Gabriele Borzillo
12 Ottobre 2020
Quando Josè Maria Sanchez Martinez ha fischiato la fine della partita beh, lo ammetto, ci sono rimasto un filo male. Forse anche qualcosa più di un filo, ma tant’è: il pallone è questa roba qui, non sempre la squadra che domina (o quasi), porta a casa i tre punti. Finito il pistolotto retorico iniziale, la storia di Polonia-Italia sta tutta nelle occasioni, una pazzesca, che gli azzurri hanno letteralmente buttato via.
Perché, a memoria, il primo serio pericolo corso da Donnarumma e compagni viaggia intorno al minuto ottantotto, secondo più secondo meno. Perché la Polonia, con tutto il rispetto e l’affetto dovuti, è calcisticamente molto indietro rispetto a noi. Perché con la vittoria avremmo potuto gestire il resto delle partite mancanti con una serenità maggiore rispetto al misero punticino di vantaggio col quale comandiamo il girone oggi.
Intendiamoci, non è stata un’Italia stellare, apocalittica, devastante. A ben vedere non è stata nemmeno lontanamente l’Italia ammirata in Olanda: ma, di sicuro, avrebbe potuto vincere, se non stravincere. Mancini ormai ha dato alla Nazionale un gioco – a tratti davvero divertente anche ieri con raddoppi, sovrapposizioni, giocate di prima, inserimenti – un copione che i ragazzi rispettano e seguono cercando di recitarlo partita dopo partita con impegno e abnegazione, delle certezze che prima del suo avvento in panchina sembravano perse, con gli azzurri autori di prestazioni noiose, come incapaci di cavare il famoso ragno dal buco, reduci da una sequenza di mediocrità difficilmente riscontrabile nella storia della Nazionale italiana di calcio.
La difesa regge bene, anche se l’avversario di ieri non era di quelli che ti tremano i polsi ma, alla lunga, forse è proprio lo scacchiere azzurro che impedisce agli altri di giocare il proprio calcio in tutta serenità: l’Italia copre bene ogni zona del campo, pressa con intelligenza e costrutto, recupera palloni in serie, oppone a centrocampo una diga non semplice da superare. E, anche quando disgraziatamente si perde un pallone, leggasi ieri sera Bonucci ad esempio, i compagni coprono la mancanza con prontezza e reattività, leggasi Emerson Palmieri e la sua chiusura perfetta su Lewandowski a due metri dalla porta.
Dubito che il centravanti del Bayern avrebbe gettato al vento l’occasione come capitato ai nostri qualche minuto prima con Chiesa. In mezzo Verratti, Barella e Jorginho, pur non essendo marcantoni, si fanno sentire e parecchio, all’occorrenza. Inoltre, particolare da non sottovalutare in un calcio moderno fatto di atletismo e fisicità, capaci come pochi di far girare il pallone e, di conseguenza, mettere gli avversari nella condizione di sprecare energie preziose in un pressing infruttuoso, con la sfera che viaggia di prima da un giocatore all’altro. Davanti, onestà per onestà, siamo leggerini.
O, meglio: abbiamo attaccanti bravi a difendere il possesso e, quando serve, far salire la squadra (in questo senso Belotti ha fatto non bene, di più a mio modesto avviso) ma, come dire, talvolta manchiamo di quel killer instinct tanto prezioso per spezzare l’equilibrio di partite rognose e ostiche come quella di ieri sera. Oltretutto si giocava su un campo impresentabile ai palcoscenici europei, con zolle di terreno che si alzavano a ogni contrasto, roba davvero brutta da vedere.
Sì, insomma, alla fine della fiera peccato perché abbiamo lasciato due punti a Danzica. Bisognerà fare meglio contro l’Olanda mercoledì a Bergamo: probabilmente Mancini cambierà qualche interprete, impensabile giocare ogni tre giorni con la stessa formazione, ma il modello di calcio che la Nazionale sciorina resterà lo stesso.
Gli Orange venderanno carissima la pelle perché perdere significherebbe con tutta probabilità essere tagliati fuori dal successo nel girone, i nostri dovranno essere capaci di replicare la prestazione, quella sì entusiasmante, di un mese fa ad Amsterdam, dove l’uno a zero finale andò addirittura stretto agli azzurri. Per Mancini e i suoi ragazzi vincere vorrebbe dire moltissimo: perché a quel punto basterà domare la Polonia in casa. E la Polonia vista ieri, oggettivamente, non può e non deve farci paura.
Nato a Milano, giornalista, scrittore, speaker radiofonico ed opinionista televisivo, laureato in Marketing e Comunicazione d’Impresa.