Di Gabriele Borzillo
5 Settembre 2020
Erano undici le vittorie consecutive della nazionale del Mancio. Certo, ottenute affrontando squadre di seconda o terza fascia, ma di tanto in tanto il calcio nostrano contro quel genere di formazioni aveva collezionato brutte figure o prestazioni largamente insufficienti. Era dal 18 novembre dello scorso anno che gli azzurri non scendevano in campo: allora roboante 9-1 rifilato ai malcapitati armeni nell’ultima giornata del girone di qualificazione ai prossimi campionati europei. Per ritrovare l’Italia all’opera ci voleva la Nations League, una nuova trovata dell’Uefa, atta a intasare calendari già saturi e complessi, che rischiano di incasinarsi ancora di più se, per capricci meteorologici, ti tocca rinviare una partita di campionato o coppa: l’esempio nebbia può essere calzante, fatichi seriamente nel trovare una data utile alla ripetizione, ma alla fine chissenefrega, l’importante è lo spettacolo, solo che nel caso della Nations League è più presunto che altro…
Avversari di turno i bosniaci, piegati a fatica in quel di Torino a giugno 2019 e battuti seccamente, 0-3, al loro domicilio, nella fattispecie Zenica, a metà novembre, undici mesi fa. Beh, diciamolo subito, non è stata grande Italia: anzi, facciamo che non è stata nemmeno una buona Italia. Magari appena sufficiente, questo sì, ma nulla più. Del resto era difficile potersi attendere altro visti i raduni appena iniziati e la condizione fisica lontana anni luce. In tal senso solo Barella e Sensi, reduci dalla finale di Europa League e probabilmente ancora in uno stato di forma quantomeno accettabile, hanno corso più e meglio dei compagni: E poi ci sono il problema Covid, che non va mai e poi mai sottovalutato, e le assenze, che non vogliono essere una giustificazione, ma pesano nell’economia di una squadra come l’Italia, che Mancini sta ricostruendo dalle macerie della mancata qualificazione ai Mondiali di Russia. Che uno dice: eh, vabbè, sono passati ormai due anni… ma quello attuale, pandemia a parte, è un momento complicato per il nostro calcio. Campioni, con la C maiuscola, non ce ne sono, inutile stare a raccontarsi belle storie. Casomai ci sono, questo sì, tanti buoni calciatori, alcuni anche ottimi, che però vantano nella maggior parte dei casi poca esperienza internazionale. Ieri erano sei quelli che avevano giocato in Europa nella passata stagione al fischio d’inizio del signor Sidiropoulos e di questi un paio per la prima volta.
Venendo alla partita vera e propria non è che ci sia molto da raccontare: primo tempo sonnolento, acuti zero o quasi, movimenti lenti e prevedibili, nulla da segnalare in pratica se non una certa attitudine da parte del redivivo Stefano Sensi, annata complicata quella scorsa per il giovane centrocampista di Urbino a causa dei numerosi infortuni, a verticalizzare l’azione cercando spesso la profondità e non il tocchettino in orizzontale, che quello siamo capaci di farlo tutti o quasi. Poi, nella ripresa, qualcosa di più si è visto: complice la stanchezza e la poca lucidità, le squadre si sono allungate – soprattutto l’Italia; la Bosnia è rimasta rintanata nel suo guscio in attesa dell’errore azzurro che puntualmente è avvenuto, nell’occasione palo di Hodzic che aveva saltato Donnarumma in uscita disperata – e il pallone ha iniziato a girare con maggior velocità. Il gol di Dzeko è frutto di una distrazione collettiva della difesa azzurra, col centravanti della Roma libero di poter infilare la porta italiana da tre metri tutto solo, il pareggio di Sensi al termine di una buona azione con stoccata del centrocampista dell’Inter deviata imparabilmente nella propria porta da Sunjic. Poi altra occasione mancata da Florenzi prima delle ripartenze bosniache che ci hanno procurato non pochi patemi d’animo. Finisce così, 1-1: ora l’imperativo (diciamo imperativo va’…) è andare a vincere ad Amsterdam lunedì sera: che perdere o pareggiare complicherebbe non poco la marcia dell’Italia verso una eventuale final four della manifestazione. Era lecito attendersi spettacolo? Sinceramente, visto il periodo e le assenze, crediamo di no. Ma lunedì sera servirà qualcosa più del semplice compitino svolto a Firenze.
Nato a Milano, giornalista, scrittore, speaker radiofonico ed opinionista televisivo, laureato in Marketing e Comunicazione d’Impresa.