Di Alfredo Pedullà
23 Marzo 2021
Simone Inzaghi orgoglioso, ha ripetuto più volte che la Lazio ha raggiunto gli ottavi di Champions dopo una vita. E ha sottolineato come la qualificazione sia arrivata dopo una fase a gironi senza macchie, giusto. Certo, è un bel trofeo, la soddisfazione di essere tornati in un circuito che sembrava quasi impossibile, la forza del lavoro e tutto quello che vogliamo. Poi, prendi il Bayern, magari esci anche se ti chiami Manchester City o Liverpool, però ci sono modi e modi.
La Lazio chiude con un parziale di 6-2, dopo il 4-1 dell’andata ha perso “soltanto” di misura all’Allianz Arena e quasi è sembrata una vittoria per le dichiarazioni rilasciate nel post. Se ci accontentiamo di perdere di misura e quasi siamo felici, dove pensiamo di andare? Meglio non farla la Champions, meglio restare in salotto piuttosto che dare motivazioni molto opinabili (per non dire altro) e attrezzarsi bene quando e se dovesse arrivare un’altra opportunità. La verità è che la Lazio, spesso molto ispirata quando è tempo di calciomercato, stavolta è arrivata abbastanza impreparata. Meglio: non ha chiuso le operazioni che avrebbe dovuto, invece ne ha completate altre che avrebbe potuto evitare. Errori, anche gravi, che si pagano.
Ribadiamo il concetto: contro il Bayern si può uscire anche se hai un dream team, anche se hai speso in tripla cifra per assicurarti gente di spessore, figuriamoci quando hai fatto molto poco omettendo alcune situazioni che erano priorità.
Il difensore centrale, almeno uno, era un passaggio obbligato che Tare ha trascurato in modo alla fine penalizzante. Tare è un buon direttore sportivo, con qualche bel guizzo e risultati che parlano a suo favore, ma che una parte della stampa romana tende a esaltare anche quando bisognerebbe fare il contrario. Riepilogando: la Lazio entra in Champions e ha bisogno come il pane di un eccellente centrale da affiancare all’eccellente Acerbi, sapendo che Radu non può essere eterno, che Patric non è un asso di briscola e che alle spalle hai un tremendo fallimento chiamato Vavro, pagato più di 10 milioni e finito molto presto ai margini senza un ritorno. Le valutazioni vengono fatte in presenza di Luiz Felipe, non immaginando che molto presto si sarebbe infortunato seriamente e che non avrebbe più dato l’importante contributo alla causa.
Quindi, ne servirebbe uno forte forte, non sapendo che magari presto ci sarebbe la necessità di averne un paio. Invece, la Lazio decide di recuperare Hoedt, che era stato mandato al Southampton, un prestito che assomiglia a una minestra riscaldata, uno di quei cavalli di ritorno che non riscaldano la tua fantasia e che spesso sono cerini bagnati. Non contenta, e dopo aver memorizzato l’infortunio di Luiz Felipe, la Lazio si supera nella sessione invernale: Tare insegue vari centrali, alcuni di spessore e qualcuno (Sokratis Papastathopoulos) particolarmente indicato per le necessità biancocelesti, ma alla fine decide di prendere Mateo Musacchio. Controindicazioni: non gioca da una vita tre partite di fila, ai margini del Milan che non lo ha utilizzato anche quando ne aveva necessità. Tare gli fa un contratto di sei mesi, scadenza 30 giugno, con la possibilità di un rinnovo fino al 2023: Musacchio entra un punta di piedi, poi lo strafalcione contro il Bayern – quello che spiana la strada ai bavaresi nella partita di andata – lo porta dietro la lavagna, come se fosse l’unico responsabile della disfatta all’Olimpico. In sintesi: Vavro, Hoedt, Musacchio, tripla scelta senza grossi ritorni.
Ora la domanda è inevitabile: siamo sicuri che spendere circa 20 milioni per Muriqi sia stata la mossa giusta? La spiegazione è chiara: la Lazio aveva un buco in mezzo alla difesa e uno schieramento offensivo già competitivo con Immobile, Correa e Caicedo. Nessuno discute le qualità del kosovaro reduce dal campionato turco, ma era davvero una priorità? Non sarebbe stato meglio spendere 15 milioni per un difensore di spessore e in grado di aiutare Acerbi, magari prevedendo le contrarietà che sono sempre all’ordine del giorno e che purtroppo vanno messe in preventivo?
La Lazio non ha fatto nulla di questo, l’aggravante è aver ripetuto l’errore a gennaio quando c’era ancora il tempo per rimediare, magari con una soluzione che non prevedesse Musacchio. Il bello o il brutto di questa vicenda è che lo spagnolo ex Milan è stato messo in castigo dopo lo strafalcione contro il Bayern, mai utilizzato e comunque bocciato, come se fosse lui il principale artefice di un’eliminazione comunque annunciata per lo spessore dell’avversario.
Se volessimo approfondire, dovremmo andare oltre: Escalante e Pereira hanno dato poco alla causa, utilizzati con il contagocce e spesso in situazioni di emergenza; l’operazione Fares non va bocciata semplicemente perché la Lazio lo ha fatto arrivare troppo tardi per una questione di accordi da perfezionare con la Spal, eppure doveva immaginare che l’esterno sinistro avrebbe avuto bisogno di tempo, reduce da un grave infortunio. E comunque su Fares in futuro ci si potrà contare, nella speranza di avere la stessa resa dell’affare Lazzari, sempre con la Spal.
Il problema è un altro: hai avuto un ottimo budget, eppure non sei riuscito a utilizzarlo con i ritorni tecnici invocati. La Lazio è stata spesso ispirata, ha resistito da club coerente alle proposte per Milinkovic-Savic e Correa, non ha mai messo in discussione Immobile, però non si è fatta trovare preparata nella stagione più attesa. E anche questo può e deve essere un motivo di approfondimento nell’interminabile dialogo tra Lotito e Simone Inzaghi per il prolungamento del contratto in scadenza.
Giornalista e opinionista sportivo, grande esperto di calciomercato in Italia. "È un privilegio quando passione e lavoro coincidono".