Di Massimo Zampini
27 Febbraio 2020
Ci sono refrain veritieri ma pericolosi. Uno di questi è il nostro “siamo agli ottavi di Champions, primi in campionato e in semifinale di Coppa Italia“. Sia chiaro: è tutto vero, la situazione a oggi è esattamente quella. Siamo in ballo ovunque e chissà come finirà la stagione. Come ha detto correttamente Agnelli a inizio settimana, la Juve è abituata a fare bilanci quando sa se gli obiettivi sono stati raggiunti o meno, non quando è ancora tutto da definire. Niente disfattismi e sentenze definitive, dunque.
Eppure, soprattutto dopo Lione, c’è un però. Perché a Lione è accaduto qualcosa: dopo il bel girone di Champions, nei due mesi e passa di attesa degli ottavi di finale, abbiamo visto una Juve molto alterna, che talvolta ha lasciato impressioni (supportate da dati, come quelli relativi ai gol subiti troppo frequentemente) poco rassicuranti, cui però ha fatto sempre da sfondo il pensiero che “lo sapete com’è questa squadra, può pure soffrire con Verona e Brescia ma poi non fallisce le partite importanti“. Il caro vecchio “quando il gioco si fa il duro…“, effettivamente comprovato marchio di fabbrica della squadra in questi anni.
Ed eccoci a Lione, dunque, dopo tanti confronti tra allenatori, giocatori, presidente, dopo diversi campanelli d’allarme, convinti che la Juve entrerà in campo e sarà diversa, decisa, perché ormai non si scherza più.
Eccoci ma dopo un inizio promettente, almeno come atteggiamento, la squadra sparisce e si fa imbucare a destra e sinistra, non trova contromisure, va sotto, rischia di prenderne un altro ma non è neanche questo il lato più preoccupante, quello riguarda il carattere, l’assenza di voglia (o capacità, e non so cosa preferire) di reagire quantomeno con l’orgoglio. Così finisce il tempo e siamo quasi sollevati di essere sotto solo 1-0, in casa del Lione orfano del proprio miglior giocatore. Poi saliamo, certo, loro arretrano, mostrano tutti i loro limiti, che tanto ci rendono pessimisti se pensiamo a ieri, ma speranzosi se guardiamo al ritorno. Finisce così, con zero tiri in porta. Tra Ronaldo, Dybala, Cuadrado, Higuain, l’indolente Rabiot, l’impreciso Ramsey e compagnia, non facciamo una conclusione nello specchio in novanta minuti, pur essendo in svantaggio sin dal primo tempo.
E io non so se sia un discorso di dialogo mancante, di difficoltà fisica, di schemi (impossibile pensare a un 4-2-3-1 in cui schierare Pjanic e Bentancur in mezzo e poi scegliere tra i vari Dybala, Douglas Costa, Cuadrado, Bernardeschi, Ramsey e compagnia dietro Ronaldo spostato centralmente o Higuain con Cristiano a sinistra?), ma so che stavolta era legittimo e doveroso aspettarsi di più, perché è da diversi mesi che sentiamo di una maggiore attenzione verso la Champions che verso il campionato vinto ormai quasi da una decade di fila.
Non basta. Perché ci sono discussioni tra giocatori, accuse di deconcentrazione, il tecnico che pare ammettere di non riuscire a farsi seguire del tutto, insomma un finale che non rassicura sull’unità del gruppo, sulla capacità di dare tutto quello che si può dare e magari anche di più, sull’avere ben presente che ora ogni partita diventa un bivio e quanto sia importante (e delicato) il momento della stagione, quanto in una settimana ci giochiamo anche una buona fetta di campionato e di Coppa Italia. Sul fatto che abbiamo capito il problema e siamo al lavoro per risolverlo in fretta.
Perché è vero, “siamo agli ottavi di Champions, primi in campionato e in semifinale di Coppa Italia“. È vero, quindi non è il momento di buttare tutto, di trovare il colpevole (“non dici mai di chi è la colpa“, mi segnala qualche amico sui social, come se fosse in qualche modo salvifico trovare un capro espiatorio, invece di tifare finché gli obiettivi sono in ballo e dare sentenze solamente dopo), anche perché sarebbe perfino fisiologico sbagliare una stagione dopo 8 anni straordinari e non ci sarebbe da dare di matto neanche se davvero fosse questo l’anno negativo.
Ma a volte i refrain, se ti affidi solo a loro e non capisci dove intervenire, rischiano di diventare pericolosi, anche quando si limitano a riportare la verità, nient’altro che la verità.
Autore di 4 libri, praticamente identici, cambiando solo il titolo e i nomi dei protagonisti: finale sempre uguale. Blogger e opinionista tv. La frase che mi sono sentito dire di più in vita mia? "Ma come fai a essere di Roma e a tifare per la Juve?"