Di Gabriele Borzillo
2 Giugno 2022
Roberto Mancini lo aveva detto in conferenza stampa nei giorni precedenti l’appuntamento di ieri sera: per molti questa sarà l’ultima partita con la maglia della Nazionale, bisogna ricominciare e lo si deve fare con i giovani. Magari soffriremo, soprattutto all’inizio, ma la strada è quella. Perciò addio ai grandi vecchi, agli eroi dell’Europeo che sembra trascorsa una vita ma parliamo di neanche un anno fa. E non solo ai grandi vecchi, mi vien da dire. Perché non è una mera questione d’età. È una questione di movimento calcistico, del poco, pochissimo, passato dal convento.
È una questione che viene da lontano, dall’essersi crogiolati in un Europeo vinto, con pieno merito, alla fine di un mese pazzesco, da outsider totali, stupendo l’intero movimento pallonaro, come capita a chiunque vinca una manifestazione così rapida e compressa, da quel pizzico di fortuna che non può né deve mancare. Fortuna che, tra parentesi, ha dato tutto in quel periodo: dopodiché, mi sento di dirlo senza timore di essere smentito, ci ha mollati per andare verso altri lidi. Arrangiatevi, ha detto: e noi non ci siamo saputi arrangiare.
Inutile star qui oggi ad apparecchiare processi senza arte né parte, senza senso: ieri sera abbiamo soltanto assistito all’addio di un piccolo pezzetto di storia azzurra, di un gruppo che, al di là delle prestazioni per nulla esaltanti offerte da settembre duemilaventuno a oggi, ci ha comunque regalato un gran bel sogno. Questa resterà sempre la Nazionale campione d’Europa, nonostante la pochezza mostrata dopo.
Errori del Mancio? Tanti, troppi. Ma togliamoci per un momento le fette di prosciutto spesse un paio di centimetri dagli occhi: cosa c’è di meglio in giro rispetto al gruppo richiamato dal tecnico azzurro per portare a termine l’impresa, semplice in verità, di qualificarsi al mondiale di novembre? Perché non mi sembra di vedere, sui campi indigeni, cloni di Leo Messi, Di Maria, Lautaro Martinez o chiunque vogliate. Il problema, casomai, è continuare in maniera imperterrita a fingere che il nostro campionato sia spettacolare, una specie di va tutto bene madama la marchesa. Un mondo fantastico nel quale giovanotti con tre presenze tre in campo internazionale valgono, o varrebbero, quaranta milioni di euro.
Quaranta, mica dieci o venti. Il bello è che continuiamo a crederlo solo noi: meglio, una parte di noi. Vorrei ricordare a chi ha la memoria corta: stiamo parlando di serie A, venduta all’estero per circa 600 (seicento) milioni. Lo sapete, vero, a quanto sono stati venduti i diritti della Premier, ad esempio, fuori dai confini britannici? Beh, a poco più di 6 miliardi. Ops. Sei miliardi, dieci volte tanto. Sommato al calo di tifosi fruitori del prodotto pallone televisivamente parlando, parliamo di percentuale in doppia cifra nel nostro Paese, mi sembra si stia discutendo di un settore in crisi, aggiungerei profonda: a meno di non voler nascondere la polvere sotto il tappeto, che tanto poi nascondi nascondi alla fine esce comunque. C’è bisogno di soluzioni, innovazioni, ammodernamenti, rinnovamenti. Da che parte cominciare? Forse dai settori giovanili, dal modo di insegnare calcio, il discorso stadi di proprietà e politica lontana dal calcio sarebbe troppo lungo da affrontare qui: ma io non vengo pagato per cercare soluzioni, per quello c’è già chi di dovere. Qualcosa va fatto, senza fingere che sì, vabbè, è un momento così, passerà. Non passerà, non ci qualifichiamo a un mondiale da otto anni e, negli due ultimi ai quali abbiamo partecipato, siamo riusciti a collezionare pessime figure, per non dire peggio.
Quindi ricominciamo. Dal Mancio, uno dei pochi a saper lavorare coi giovani. Non sarà facile, ci sarà da soffrire, lo ripetiamo: soffriremo, siamo tifosi no?
Ultimo appunto: caro Roberto, mi permetto di chiamarla per nome, ieri era l’ultima apparizione di Giorgio Chiellini, uno che avrei sempre voluto nella mia squadra. Non mi è minimamente piaciuta la gestione del suo addio. Meritava una passerella con annessi applausi in un tempio del calcio, non un anonimo cambio davanti a nessuno, durante l’intervallo: una roba mesta, triste, non in linea col valore e del calciatore e dell’uomo. Erroraccio, da matita rossa avrebbe detto un grandissimo del giornalismo.
Alla prossima.
Nato a Milano, giornalista, scrittore, speaker radiofonico ed opinionista televisivo, laureato in Marketing e Comunicazione d’Impresa.