Di Fabrizio Biasin
26 Settembre 2019
Ad Antonio Conte, se parli di scudetto, s’arrizza il pelo. A settembre poi. Ti guarda dopo il quinto successo di fila in campionato ed è chiarissimo: “Non riuscirete a trascinarmi nel vostro giochetto psicologico”. Oddio, non ha detto proprio così, ma il senso è questo. L’Inter batte la Lazio, soffre un po’ ma ce la fa, tiene la vetta, regala una sensazione di “unità di intenti” mai vista negli ultimi lunghi e avarissimi anni.
Bisognerebbe parlare di questo, di un gruppo unito che olia i meccanismi, che si dà una mano, che procede spedito nel processo di crescita ma, invece, scegliamo di puntare su un tizio solo e lo facciamo perché, al momento, se lo merita più di tutti.
Il giocatore in questione ha un serio e irrisolvibile problema: è italiano. Negli anni delle campagne elettorali che promuovono slogan tipo “prima gli italiani!” e “difendiamo il made in Italy!“, ci siamo resi conto che siffatti concetti valgono per strappare voti in cabina, ma contano niente se la categoria contemplata è quella del “calciatore tricolore“. Il calciatore tricolore Danilo D’Ambrosio ha almeno un paio di difetti clamorosi che gli impediscono di poter piacere veramente: il primo è che gioca da troppo tempo per la stessa società, il secondo è che non si tratta di un mezzosangue carioca, né di un argentino importato e neppure di un francese di belle speranze; Danilo D’Ambrosio è semplicemente un difensoraccio di casa nostra, recentemente prestato alla fase offensiva.
Il fatto di giocare da troppo tempo nella stessa squadra (settima stagione all’Inter) lo relega alla stregua di un poveretto mai in copertina, né inserito nelle micidiali “trattative di mercato” che trasformano il calciatore “semplice” in una prelibata preda “delle grandi” (“lo vogliono a Parigi ma anche a Manchester!” e poi fa niente se non è vero, intanto “hai fatto credere” e male non fa).
Il fatto di essere italiano, invece, limita l’appeal nei confronti della gente: i tifosi amano lo straniero, pensano che sia più forte e non c’è niente da fare (“Dambrosiao” è più arrapante di D’Ambrosio e anche “Dambrosioski” o “Van Dambrosien” lo sono: il cognome nel calcio il più delle volte “fa il monaco”, è triste ma è così).
Ora, questo pezzo è stato concepito per affermare che D’Ambrosio è improvvisamente diventato il nuovo Maicon? Dio ce ne scampi ma, consentiteci, un paio di cose vanno dette.
1) D’Ambrosio è un bravo giocatore, del genere che piacciono di più ai tecnici che alla critica: dove lo metti sta (a destra, a sinistra, nella difesa a tre) e se invece proprio non lo metti… tace e aspetta il suo turno.
2) D’Ambrosio non prende né prenderà mai un otto in pagella, ma quasi sempre raggiunge il sei. Questa cosa si chiama “affidabilità” e per un terzino vale più di un gol all’incrocio.
3) D’Ambrosio è consapevole di quello che è: un onesto pedatore con tanti difetti che per stare a galla può fare una sola cosa, ovvero correre più degli altri o, all’occorrenza, picchiare come un fabbro cassaintegrato.
Danilo D’ambrosio al minuto 23 di Inter-Lazio ha segnato il gol che tiene l’Inter in testa alla serie A. Danilo D’Ambrosio con un colpo di maroni ha salvato l’Inter all’ultimo minuto nel derby di qualche mese fa. Danilo D’Ambrosio all’ultima giornata della passata stagione (Inter-Empoli) si è immolato per la causa ed è grazie a quel non-autogol se i nerazzurri, mercoledì, affronteranno il Barcellona al Camp Nou. Danilo D’Ambrosio, al primo match sbagliato, verrà nuovamente attaccato: “Non è all’altezza!” e ben lo sa. La cosa gli farà perdere il sonno? No, è più facile che lo faccia perdere al suo prossimo avversario.
Lunga vita a D’Ambrosio, lunga vita alla professionalità.
Nato a Milano per far felice mamma. Venditore di fumo. Opinioni non richieste su qualunque cosa. Ex terzino promettente "ma poi mi sono rotto il ginocchio". Militesente. Automunito. Ero biondo.