Di Gabriele Borzillo
27 Giugno 2022
Il calciomercato, che inizierà ufficialmente venerdì primo luglio ma in realtà è cominciato praticamente la mattina del 23 maggio, sta regalando i primi botti: quelli veri intendiamo, non le chiacchiere tanto per, utili a costruire un mucchio di castelli in aria che poi, alla fine della fiera, svaniscono come quei bei sogni dai quali sei costretto a distaccarti non appena suona la sveglia.
Partiamo da un dato di fatto, una base riconosciuta da tutti i dirigenti del calcio nostrano con qualche rara eccezione: ma, del resto, sarebbe troppo bello se tutte le componenti del pallone italiano navigassero nella stessa direzione, significherebbe avere una rotta comune che potrebbe portare a una rinascita del pallone indigeno, non più relegato alla periferia dell’Europa di prima fascia, quella importante, quella dove i diritti all’estero si vendono a cifre cospicue, dove gli sponsor fanno a gara per ritagliarsi uno spazio, anche piccolo, dove i club introitano denari utili ad aumentarne la competitività soprattutto nei tornei continentali.
Perché, ricordiamolo, le società italiane non appartengono più da anni all’élite pallonara europea, grazie soprattutto al fantastico e fantasioso Financial Fair Play, quella roba per cui se sei ricco diventi più ricco, se sei povero chissenefrega, l’importante è che lo spettacolo vada avanti. Non tanto perché a vincere la Champions, alla fine, sono e saranno sempre le stesse grazie a regolamenti utili solo ad alcuni, non certo alla stragrande maggioranza dei club, quanto perché, fatte salve le rarissime eccezioni che capitano in tutti i campi della vita, a giocarsi il traguardo più importante sono e saranno sempre le stesse fin dai quarti di finale.
Una noia mortale sapere, tutti gli anni, quali saranno in anticipo le magnifiche otto, sperando poi in una botta di fortuna, la partita un po’ casuale e dall’andamento strano, che porti i tuoi colori all’interno della piccola schiera pronta a spartirsi la fetta più corposa del montepremi, così il bilancio verrà corroborato. In sostanza non partecipi per vincere: partecipi per mettere da parte soldi.
Pensate di no? Beh, una volta vincevano sì i Real, i Barcellona, i Liverpool o i Bayern Monaco: però vincevano anche i Porto, i Milan, le Inter, i Borussia Dortmund e altri. Insomma, oggi a dettare legge nel vecchio continente ci sono le inglesi, non tutte sia chiaro ma quelle economicamente più potenti, il Real, il PSG e il solito Bayern.
Il Barcellona sta vivendo un momento complicato quindi lo mettiamo un filo da parte. Noi, nel Bel Paese, ci limitiamo a osservare cosa accade intorno, schiavi in primo luogo di stadi che non si possono costruire perché ci vuole il permesso di Tizio che deve chiedere a Caio che domanda a Sempronio che necessita dell’ok di quello che però, a sua volta, dipende da quell’altro. L’obiezione è: sì, ma se hai lo stadio di proprietà cosa cambia? Risposta: cambia il mondo, l’universo, l’orizzonte per il calcio italiano e per le sue future campagne europee. Significa denaro in entrata, club più ricchi, mercato più importante, attrattiva maggiore.
Di seguito piccolo stralcio di una recente intervista rilasciata dal Presidente dell’UEFA, Ceferin, alla Gazzetta dello Sport: “Non c’è uno stadio che possa ospitare, in Italia, una finale di Champions League attualmente”. E ancora: “Credo che Governo e Municipalità abbiano capito l’importanza di un Europeo in Italia, ma sugli stadi prima servono garanzie forti”. Il tutto per far capire l’importanza di una ristrutturazione del sistema pallone nel nostro Paese. Serve anche questo per ricominciare, per ripartire, per non far sì di continuare a sopravvivere. E per evitare di continuare a rimanere ai confini del pallone che conta, meri osservatori, per di più paganti.
Alla prossima.
Nato a Milano, giornalista, scrittore, speaker radiofonico ed opinionista televisivo, laureato in Marketing e Comunicazione d’Impresa.