Di Alfredo Pedullà
Aggiornato: 19 Gennaio 2022
Un gol, un altro gol, rifilato all’Udinese. Paulo Dybala che non esulta, lui che di solito indossa una maschera di felicità ma che stavolta si guarda bene dal farlo. Tre giorni dopo (ieri) il bis contro la Samp in Coppa Italia e stavolta si libera dai pensieri come se tutto fosse alle spalle, invece così non è. Ma torniamo a sabato scorso, l’epicentro del malessere: un’occhiataccia alla tribuna, con spiegazione dopo la partita che è una bugia grande quanto un grattacielo. “Stavo cercando un amico”. Impossibile. Allegri che cerca di stemperare e che regala un divertente “ma se in tribuna non c’era nessuno…”, sintesi delle nuove normative Covid che permettono soltanto a cinquemila persone di entrare allo stadio. Ma Dybala non cerca un amico, come ammette nell’intervista a caldo dicendo “sei libero di non credermi…”.
La Juve lo manda a parlare, ma lui non ha troppa voglia. In quello sguardo alla tribuna, destinatario l’amministratore delegato Arrivabene e quindi il presidente o la proprietà bianconera, c’è un rancore che giustamente cova. Sono oltre due anni, ci riferiamo all’agosto del 2019, che Dybala si sente sempre in discussione: lo era prima di Ronaldo, lo è stato durante Ronaldo, lo è adesso che Cristiano è andato via da diversi mesi per rifarsi una vita calcistica con il suo amato Manchester United. Non sappiamo quanto sia contento, ma è andato. Eppure la Joya ora è diventata sempre più la ‘Tristezza’: perennemente in bilico, come se fosse lui il vero-grande problema della Juve, come se non fossero state sbagliate tutte le mosse possibili e immaginabili negli ultimi 24-36 mesi.
Anche di mercato, certo: la Juve aveva Cancelo e Spinazzola sulla fascia, ora non ha un terzino sinistro di livello; aveva un eccellente difensore come Romero e lo ha ceduto a prezzo quasi di saldo all’Atalanta che poi lo ha rivenduto a più del doppio al Tottenham. Sì, il Tottenham di Fabio Paratici (uno dei principali artefici – dopo tanti successi – delle famose disgrazie di meraviglia degli ultimi 24-36 mesi) che aveva spedito Romero a Bergamo per meno della metà dei soldi che poi avrebbe dovuto investire per regalarlo agli Spurs. Roba che se ci fai uno speciale di due ore non basta, dovresti averne almeno un altro paio (di ore) per capire dove e quando sono nati i problemi della Juve, gli stessi problemi che ora vorrebbero scaricare (o addossare, scegliete il verbo migliore) su Dybala.
Estate 2019: la Juve chiede a Paulo di accettare il trasferimento al Manchester United, disperato tentativo di strappare Romelu Lukaku all’Inter. Disperato perché Lukaku, pur avendo il gradimento totale della Juve, mai si sarebbe rimangiato la parola data a Conte che lo aveva messo in cima – per distacco – al suo progetto. Da quel momento, con il no dell’argentino che mai avrebbe accettato il trasferimento in Premier, si apre la querelle, una separazione in casa a mesi alterni. Ma Dybala è innamorato della maglia e desideroso di risalire la corrente, malgrado la presenza di un Ronaldo saldamente padrone della scena a un anno dal suo arrivo a Torino. Anche l’Inter ci prova, come ammesso da Marotta, a inserirlo in uno scambio con Icardi. Nulla da fare, con Maurito che vola a Parigi (dove mai sarà davvero felice) e Dybala che prosegue il tentativo di riprendersi la Juve. Grandi partite, eccellenti giocate, straordinari gol, qualche pausa, un talento indiscutibile, troppi infortuni. E una domanda che riecheggia: ma per quale motivo bisogna vivere oltre due anni così, senza un comune denominatore, ignorando che i danni creati sono più grandi del problema Dybala, come se mandare via lui fosse davvero la soluzione di quanto accaduto fin qui, una navigazione troppo a vista per essere degna di un club così prestigioso e ricco di onorificenze. Al punto che ci viene da dire: forse la punizione sarebbe davvero quella di perderlo a zero: sarebbe un bagno di sangue, se non fosse che la partita resta aperta. Malgrado una ferita dolorosa, quella degli ultimi due mesi.
Già, perché ben prima di Natale il suo agente Antun aveva raggiunto un accordo totale con la società di Agnelli. Rinnovo pluriennale, da dieci milioni – bonus compresi – a stagione, bonus che si sarebbero accentuati o addirittura sarebbero archiviati per entrare nella parte fissa. Un accordo sulla parola, un accordo vero, la convinzione reciproca e poi… E poi i troppi infortuni, il momento che ogni società sta attraversando e che porta a valutare bene qualsiasi tipo di ingaggio milionario. Tutto giusto, tutto bello, se non ci fosse stato quell’accordo sancito. Invece, anziché le spiegazioni o le carezze, le scudisciate di Arrivabene, quelle parole taglienti in diretta tv e sempre più pesanti, destinatario Dybala.
Della serie “dimostri, la maglia pesa, la numero 10 di più, bisogna fare i fatti, del contratto suo e degli altri ne riparliamo a febbraio”. Come a febbraio? C’era un accordo vero, serio, sancito, bisognava soltanto firmare. Ora é facile accostarlo all’Inter: il suo padrino Marotta lo prese dal Palermo e lo portò alla Juve quando Paratici non era in prima fila ma solo il suo uomo di fiducia. Tuttavia l’Inter oggi ha altre cose a cui pensare: un Lautaro fresco di nomina che guadagna 6 milioni a stagione, Dybala è il suo vice in Nazionale e figuriamoci cosa accadrebbe se si ribaltassero le gerarchie. Nulla escludiamo, ogni soluzione è possibile, ma è troppo presto. Intanto, c’è un discorso da chiarire con la Juve, sempre se Paulo ne avrà voglia, può darsi pure che gli passi – da innamorato tradito – per ascoltare altre sirene. Ripetiamo: è presto per dirlo. Ma è tardi per un inno alla chiarezza che la Juve avrebbe dovuto avere nei suoi confronti. E in quello sguardo di sabato scorso, destinatario mica un amico, c’era proprio tutto: la delusione, l’amarezza, la ferita aperta di un ragazzo – non solo un grande attaccante – che si sente umiliato dalle recenti evoluzioni.
Giornalista e opinionista sportivo, grande esperto di calciomercato in Italia. "È un privilegio quando passione e lavoro coincidono".