Di Gabriele Borzillo
23 Agosto 2021
L’abbiamo aspettata, attesa, desiderata: finalmente la Serie A è tornata ad allietare i nostri fine settimana. Certo, la formula spezzatino, cominciamo venerdì finiamo domenica quando non lunedì, è poco esaltante. Certo, metà della popolazione italiana fatica a seguire le partite in tempo reale, so di amici che avevano capito del gol dell’Inter o della Roma, ad esempio, un minuto prima e, siamo sinceri, non è bello così. Ma il pallone è sempre il pallone quindi bando alle ciance e di nuovo tutti in campo, a rincorrere sogni, vittorie, gioie e, perché no, dolori.
Aspettando il Milan stasera, esordio complicato per la truppa di Stefano Pioli a Marassi contro la Samp del nuovo corso D’Aversa, oltre naturalmente a Cagliari-Spezia, cosa ci ha raccontato la prima giornata del massimo campionato? Che l’Inter, ad esempio, non ha mollato la presa. Magari il ridimensionamento ci sarà anche stato, è un dato di fatto, una squadra senza Hakimi e Lukaku perde potenza e muscoli però i nerazzurri visti contro il Genoa hanno riempito il campo, presidiato ogni zona del prato verde con serenità, trasmettendo se possibile ai tifosi la sensazione di essere sempre e comunque in pieno controllo della gara. Ci sono state un paio di distrazioni, ci sta, ma Simone Inzaghi pare aver instillato nei suoi un nuovo modo di giocare a calcio, meno potente di quello del tecnico che lo ha preceduto ma ugualmente dannoso per l’avversaria di turno.
La Lazio ha vinto senza convincere del tutto. Buon primo tempo, buone giocate, buon possesso palla, buon tutto. Poi vai a leggere le statistiche e ti accorgi che l’Empoli ha tirato verso la porta biancazzurra venti volte. Venti. Sarri dovrà essere bravo a registrare il filtro centrocampo-difesa: un conto, con tutto il rispetto possibile, è mandare al tiro venti volte l’Empoli, un altro squadre maggiormente attrezzate. E comunque i toscani hanno macinato ottimo calcio, dimostrando di poter vendere la pellaccia a carissimo prezzo dappertutto e contro chiunque.
Vince anche l’Atalanta, all’ultimo respiro. Senza forse, il Toro non meritava la sconfitta: però la differenza tra le cosiddette grandi e quelle meno grandi sta proprio nell’essere in grado di sfruttare l’occasione giusta al momento giusto. Ormai la Dea, lo abbiamo scritto più volte e lo ribadiamo, appartiene di diritto al gotha del calcio nostrano. Che non sarà quello della Premier, del PSG, della Bundesliga, di Real, Atletico o Barcellona. Intanto, però, è campione d’Europa con pieno merito, e tutti zitti. Attenzione: il successo coi granata non può e non deve nascondere i problemi del Gasp. Anche qui, parliamo di statistiche: gli orobici hanno subito trenta, dicasi trenta, tiri in porta. Riflettere.
Napoli decisamente superiore al Venezia più rinunciatario di sempre, praticamente mai in partita nonostante la lunga superiorità numerica e Roma discreta contro una Fiorentina per nulla trascendentale. Ha vinto Mou, viva Mou. Di sicuro i giallorossi, confortati dalla presenza di José in panchina, potrebbero estrarre dal cilindro prestazioni oltre il loro reale potenziale e diventare la scheggia impazzita lassù, al vertice.
Da rivedere, al contrario, Madama bianconera. Cali di tensione, errori del portiere, decisione avventata di concedere pallino del gioco e campo all’Udinese sono alla base del passo falso, inatteso, juventino. Anche perché non è da Allegri essere in vantaggio di due reti, oltretutto contro un’avversaria decisamente meno forte, e subire inopinatamente la rimonta. C’è da giurare che il tecnico livornese non passerà sopra l’episodio come se nulla fosse accaduto. La concorrenza, per la Juventus è tanta. Le squadre attrezzate per fare bene pure. Il tempo degli scudetti con un abisso di vantaggio sono finiti. Oggi, chi perde punti faticherà molto di più a rientrare nel gruppone di testa.
E venerdì ricomincia la giostra.
Nato a Milano, giornalista, scrittore, speaker radiofonico ed opinionista televisivo, laureato in Marketing e Comunicazione d’Impresa.