Di Massimo Zampini
23 Aprile 2021
Si può legittimamente essere pro o contro l’idea di Superlega, estimatori o meno di Andrea Agnelli: non è altrettanto lecito, però, fondare le proprie tesi su un racconto dei fatti non aderente alla realtà.
Partiamo dal progetto di costituire una nuova competizione “privata”, di cui si parla ininterrottamente da giorni: va benissimo contestarne la natura “chiusa” delle fondatrici che continuano a farne parte anche se arrivano sempre ultime, che si qualificano anche se terminano il loro campionato al decimo posto, criticarne le più che discutibili modalità di comunicazione (fino all’intervista di Agnelli “postuma” rispetto al progetto, aveva parlato solo Florentino Perez al Chiringuito: un po’ poco, per rappresentare l’infinita mole di tifosi di quelle dodici squadre e spiegare meglio esigenze e progetto). L’idea, come ovvio, può piacere e non piacere, esattamente come poteva esaltare o meno la proposta di riforma che ampliava la Coppa dei Campioni fino a farvi partecipare chi campione del suo Paese magari non lo era mai stato in vita sua, mentre altre squadre appartenenti a campionati minori, pur se vincitrici, non sarebbero mai riuscite a prendere parte alla manifestazione.
Ciò che non va bene è la mistificazione della realtà: leggere affermati giornalisti preoccupati perché non avrebbero più potuto portare il figlio a vedere Inter-Genoa non è ammissibile, perché Inter-Genoa, al di là delle discussioni sul fascino di una partita del genere, ci sarebbe stata comunque. “La favola del Leicester”? Nessun problema, possibile anche quella, anzi, forse anche di più, considerati gli impegni ancora più gravosi per le big di sempre. “Una competizione così chiusa è antitetica a ogni idea di sport”, tralasciando il fatto che il basket, ma non solo, ha leghe chiuse e di straordinario fascino, che non tolgono un grammo all’emozione, anzi. Oggi lo stimato economista Carlo Cottarelli, in un’intervista critica sul nuovo progetto, deride l’idea di vedere un Milan-Real ogni settimana. Qui i casi sono due: o non avete capito nulla dell’idea di Superlega oppure la state volontariamente raccontando in modo errato. I campionati non sparirebbero e di Milan-Real ce ne sarebbero due all’anno (se si trattasse di un girone unico, sennò forse neanche quelle) oltre all’eventuale sfida in semifinale o finale.
E tralasciamo le patetiche argomentazioni sul calcio dei tifosi, del popolo, dei poveri, in un mondo che storicamente se ne frega (perfino comprensibilmente, trattandosi di sport ma anche di business): dite che non vi piace, va benissimo, ma senza alterare la realtà o trattare da criminali gli autori della proposta.
Ecco, arriviamo a questi ultimi e in particolare, per quanto qui interessa, ad Andrea Agnelli. Nulla di male se non vi è simpatico, se lo trovate arrogante, se non lo stimate, se ritenete avventate alcune sue mosse come l’allontanamento di Marotta e la promozione di chi già era in società, se non fate sconti all’attuale situazione di una squadra apparentemente indebolita con i conti in difficoltà (anche se pare ci sia stato qualche problema nel mondo, quest’anno). Ogni critica e opinione argomentata è sempre legittima, condivisibile o meno che sia. Non va bene, però, anche qua, rimodulare i fatti a proprio piacimento, descrivendolo più o meno come un incapace meritevole di destituzione e disonore.
Agnelli raccoglie una Juventus disastrata sul campo e assolutamente divisa anche fuori, con i tifosi ancora frastornati dagli effetti di Calciopoli, la difesa troppo morbida della società precedente e tutto il resto che già conosciamo e al suo secondo anno conquista lo scudetto, che non mollerà più per nove anni (contando in giorni fa ancora più impressione), quando nessuno nella storia della Juve post bellica aveva mai vinto più di due campionati consecutivi. Non basta. Nel frattempo, mentre le squalificano l’allenatore per fatti antecedenti di diversi anni e proprio il presidente finisce in una tragicomica storia di intercettazioni inventate dal procuratore federale (!), la Juventus moltiplica il proprio fatturato, sposta la sede e le attività di squadra e società alla Continassa, riqualificando l’area a due passi dallo stadio, crea un hotel, la squadra femminile, l’under 23. Da anni, mentre i suoi colleghi vanno a caccia di like e alibi, alimentando veleni sulle quisquilie di giornata, manifesta la sua visione su un calcio che attrae sempre meno e rischia di impoverirsi non solo economicamente, ma anche nel seguito delle future generazioni. Qui, su questi temi, non c’è mistificazione che tenga.
Infine. Un pensiero da tifoso juventino che ha visto alternarsi un po’ di dirigenze: la Juventus di cui ho letto i pareri più dolci e accomodanti è la peggiore che io ricordi, sotto ogni punto di vista. Quelle che hanno vinto di più, compresa questa (e compresa quella di Boniperti, che ora fingono di rimpiangere), sono invece perennemente considerate e trattate al limite del delinquenziale.
Ricordiamocene, quando i media e i tifosi avversari ci consigliano di cambiare, per tornare magari a essere più apprezzati. Perché la stima e i complimenti, verso la Juve, a volte arrivano davvero. Ma solo quando sull’albo d’oro cominciano a leggersi i nomi di altre squadre.
Autore di 4 libri, praticamente identici, cambiando solo il titolo e i nomi dei protagonisti: finale sempre uguale. Blogger e opinionista tv. La frase che mi sono sentito dire di più in vita mia? "Ma come fai a essere di Roma e a tifare per la Juve?"