Di Redazione William Hill News
Aggiornato: 12 Giugno 2020
Ci si trovasse obbligati a scegliere un solo volto come copertina dell’anno perfetto dell’Inter, quel famoso 2010 del Triplete, sarebbe sostanzialmente un ballottaggio a 3: Massimo Moratti, il presidente capace di emulare le gesta del padre Angelo, José Mourinho, il tecnico capace di riscrivere la storia 45 anni dopo Helenio Herrera, e l’autore di tutti i gol decisivi di un finale di stagione ai limiti dell’irripetibile per la perfezione con cui si è sviluppato: Diego, El Principe, Milito.
Milito, decisivo in tutti i trofei del Triplete
E’ sufficiente leggere i tabellini delle 3 partite decisive a chiudere quel filotto di trofei destinato a scrivere una pagina di storia del calcio italiano, per comprendere l’impatto che un giocatore come Milito possa avere avuto nell’arco di quella stagione: suo il gol che abbatte la Roma nell’1-0 che decreta la vittoria della Coppa Italia, ancora sua, 11 giorni più tardi, la rete dell’1-0 a Siena, che vale la conquista del 18esimo Scudetto nerazzurro, sua la doppietta che affossa il Bayern Monaco nella finale di Madrid e che proietta l’Inter nel paradiso della Champions League. 3 partite per 3 trofei, 0 gol subiti, 4 realizzati: tutti da Diego Milito.
Pensare che il ruolo di uomo copertina il ‘Principe’ non l’ha mai cercato. Nella foto di gruppo, in cui l’Inter in tripudio solleva il trofeo della Champions al cielo di Madrid, ci sono tutti i principali protagonisti di quella stagione magica: capitan Zanetti che alza al cielo una coppa che mancava da 45 anni, Maicon e Eto’o con le loro bandiere nazionali legate al collo, Sneijder coi pugni al cielo, Mourinho con il pallone della gara in mano. L’unico Milito che si intravede ha 3 anni, si chiama Leandro, ed è sulle spalle del papà che sorride dietro a tutta la squadra, quasi defilato. E infatti “Papà, ma perché ti sei messo così dietro? In tutte le immagini ci si vede a malapena…” è il quesito che il figlio di Diego, oggi dodicenne attaccante delle giovanili del Racing, pone spesso al padre.
La risposta sta probabilmente nell’indole di un giocatore che in carriera ha mantenuto il focus su una sola ed unica cosa: mettere la palla alle spalle del portiere. Senza parole, senza proclami, con un profilo che dire discreto sarebbe riduttivo. Un’unica eccezione, decisamente fragorosa per portata e scelta dei tempi e forse dettata dall’ebbrezza emozionale del momento, proprio nella notte del trionfo in Champions, con quella dichiarazione sul proprio futuro che strinse i cuori colmi di gioia dei tifosi interisti: “Sono felice, poi, per il prossimo anno vediamo. Ho offerte importanti”. Avrebbe potuto andare via, lontano da Milano: almeno due top club europei erano pronti a mettere sul piatto un ingaggio da 10 milioni di euro per un attaccante da quasi 150 gol nelle ultime 6 stagioni, ma alla fine è rimasto, per amore e riconoscenza, vincendo decisamente meno di quanto avrebbe potuto.
L’amore mai sopito verso l’Inter
Troppo idilliaci gli ultimi 365 giorni, troppo alto l’investimento emotivo per un giocatore che quel pragmatismo razionale di Mourinho, capace di lasciare il gruppo perfetto proprio nel momento in cui la perfezione si era compiuta, non lo aveva. All’Inter Milito aveva trovato una famiglia: il rito dell’asado, con Walter Samuel capo-cuoco e tutto il clan degli argentini riunito, l’intesa calcistica perfetta con Eto’o e Sneijder, coi quali componeva una inarrestabile macchina da gol, il rapporto con una tifoseria che in lui vedeva l’uomo della provvidenza, l’espressione del successo inseguito e finalmente ottenuto.
Sono proprio i tifosi, probabilmente, ad avere trattenuto a sé l’attaccante, stipati sugli spalti di San Siro di prima mattina, il giorno dopo la vittoria della Champions, per urlare il proprio grazie agli eroi di Madrid: “Ve lo dico: mai, mai nella mia vita avevo visto uno stadio pieno di gente all’alba, alle sei del mattino. Già il ritorno da Barcellona era stato fantastico, con l’accoglienza all’aeroporto, ma quella mattina San Siro è stato il posto più magico del mondo: c’eravamo solo noi, c’era il popolo interista. Io ero stravolto. Ma ero stravolto di felicità”.
Resterà all’Inter per altre 4 stagioni, senza ripetersi ai livelli di quell’anno magico, per poi chiudere una carriera da 254 gol a casa, in Argentina, nel Racing Club. Al fischio finale della sua gara di addio al calcio, circondato dai compagni di sempre in nerazzurro, il pensiero non poteva non correre a quell’anno magico: “Ero felice, lo sono tutt’ora – dirà in seguito con una lettera indirizzata ai tifosi dell’Inter – se penso a quello che abbiamo fatto, tutti insieme. Al segno che abbiamo lasciato nella storia di questo club, la nostra Inter”. E salutando i propri tifosi, in lacrime, finiva l’era del Principe, divenuto Re nella notte di Madrid.
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