Di Redazione William Hill News
25 Aprile 2020
Nelle discussioni tra tifosi, il dibattito riguardo chi sia il calciatore migliore di sempre è il grande classico: in tutti questi confronti c’è una domanda sottintesa di cui ognuno crede di conoscere la risposta giusta: può essere “chi ha vinto di più o le cose più importanti?”, oppure “chi possedeva le doti fisiche o tecniche migliori?” o ancora “chi ha saputo far fare alla propria squadra il salto più netto in termini di qualità”. C’è una chiave, però, che in genere non lascia spazio a dubbi e che, quando viene posta, risolve la conversazione su chi sia stato effettivamente il migliore: “qual è il calciatore che ha avuto il maggiore impatto sul calcio, non il suo calcio, il calcio in senso assoluto?” La risposta è Johan Cruijff.
Non parliamo solo del fatto che il seme del pensiero calcistico del fuoriclasse olandese sia poi germogliato in una delle squadre più forti della storia, il Barcellona di Pep Guardiola (che di Cruijff è stato un allievo diretto), ma a tutto tondo di quanto concetti tattici apportati per la prima volta da un ragazzo olandese col 14 sulle spalle siano oggi il canone: il concetto di creazione dello spazio, la gestione del possesso-palla e di circolazione del pallone, lo sviluppo di gioco dal basso, lo scardinamento di molti ruoli classici come il centravanti riconvertito in falso nueve e i terzini trasformati in esterni di inserimento. Sono tutte espressioni di una visione di calcio che vedeva, nell’organizzazione del collettivo, l’innesco per l’esplosione del genio del singolo.
Nemmeno a dirlo, durante la carriera di Joan Cruijff, il genio era lui stesso. Dotato di caratteristiche non inquadrabili come specifiche di un ruolo preciso, univa al senso della posizione e alle doti di impostazione di un regista, la reattività e il cambio di passo di un attaccante. Nel calcio di oggi sarebbe stato inquadrato come un trequartista, un centravanti di manovra, ma la sua posizione, come quella degli altri componenti delle squadre in cui ha militato, era fluida.
Chiaro a tutti chi fosse il primo violino, l’orchestra se la creò intorno. Barry Hulshoff, che di Cruijff fu compagno di squadra sia nell’Ajax che nella nazionale olandese, descrive così Johan: “Discutevamo di spazio per tutto il tempo. Cruijff spiegava sempre dove i compagni avrebbero dovuto correre, dove rimanere fermi, dove non si sarebbero dovuti muovere. Si trattava di creare spazio ed entrare nello spazio. È una sorta di architettura sul campo. Parlavamo sempre di velocità della palla, spazio e tempo. Dove c’è più spazio? Dov’è il calciatore che ha più tempo a disposizione? È lì che dobbiamo giocare il pallone. Ogni giocatore doveva capire l’intera geometria di tutto il campo e il sistema nel suo complesso”.
L’ambiente che riesce a creare, unito alle sue doti calcistiche, danno vita al ciclo leggendario dell’Ajax e del calcio olandese: con i Lancieri vincerà, dal 1964 al 1973, 6 Campionati, 4 Coppe dei Paesi Bassi e alzerà per 3 anni consecutivi la Coppa dei Campioni, dal 1971 al 1973.
Dal ’71 al ’74 vince per 3 volte vince il Pallone d’Oro. Nel pieno del suo splendore calcistico lascia l’Ajax e l’Olanda, e si trasferisce, nel 1973, al Barcellona che riporta subito al titolo, dopo 13 anni di digiuno e di dominio del Real Madrid (che in quei 13 anni aveva vinto la Liga per 9 volte).
E’ l’anno che porta ai Mondiali in Germania, quelli che sanciranno la consacrazione, pur nella sconfitta, di una delle squadre più iconiche della storia del calcio, l’Olanda del ’74, l’Arancia Meccanica. Nelle due fasi a gironi, l’Olanda elimina alcune tra le pretendenti al titolo, come Brasile e Argentina. Il gioco corale della squadra di Cruijff viene ribattezzato calcio totale, per la fluidità dell’interpretazione dei ruoli da parte degli Orange: tutti partecipano alla manovra d’attacco, tutti si fanno carico delle mansioni di copertura nella fase di difesa. Il sogno di vincere la Coppa del Mondo sbatte però sulla Germania di Franz Beckenbauer e Gerd Müller, che nella finale di Monaco di Baviera si impone per 2-1.
Cruijff resta al Barcellona fino al 1978, prima di fare ritorno all’Ajax, dopo una parentesi nel calcio nordamericano durata 3 anni. In biancorosso vince nuovamente il campionato (per due anni di fila) e la coppa nazionale, risultati che riuscirà a replicare con la maglia del Feyenoord, l’ultima della sua carriera da giocatore, nel 1984.
Inizia qui il suo percorso da allenatore, all’Ajax (dal 1985 al 1988), dove vince due campionati e la Coppa delle Coppe, e al Barcellona (fino al 1996). In Catalogna è l’artefice di quella che è una vera e propria rifondazione del club: vince 4 campionati di fila, dal 1991 al 1994, una Coppa di Spagna, 3 Supercoppe di Spagna, la Coppa delle Coppe e, soprattutto, la prima Coppa dei Campioni nella storia dei catalani (nel 1992, in finale con la Sampdoria di Vialli e Mancini).
Il modo in cui organizzerà la società blaugrana, dal metodo di allenamento all’organizzazione del settore giovanile, sarà la matrice del Barça del futuro, quello di Van Gaal e Rijkaard prima, di Pep Guardiola poi. Il tecnico spagnolo ricorda così il suo mentore: “Il suo punto di vista era sempre speciale. Davanti alle situazioni complicate penso spesso: “che farebbe lui?”. Il suo merito è stato, davanti a un gioco così indecifrabile come il calcio, darci gli strumenti per dominarlo, una cosa impossibile a meno di non chiamarti Messi. Io ero un giocatore di talento ma non capivo nulla di calcio. Lui ci ha aperto un mondo affascinante, un film che abbiamo interiorizzato. L’ho paragonato al professore di una materia che ti piace, un maestro di cui non vedi l’ora che faccia lezione. Era un tipo che ti diceva tutto il contrario di quello che avevi sentito per tutta la vita: ti dicevano che perdevi perché non correvi ma un giorno arriva lui e ti spiega che perdi perché corri troppo”.
Il riferimento è ad una delle massime celebri di Cruijff : “Ogni allenatore parla di movimento, dice di correre sempre. Io dico: non correte molto. Il calcio è un gioco in cui si gioca con il cervello. Bisogna trovarsi nel posto giusto nel momento giusto, né troppo tardi, né troppo presto”.
Sarà proprio Barcellona la città che darà al fuoriclasse olandese l’ultimo saluto, il 24 marzo del 2016. Nato il 25 aprile del 1947 ad Amsterdam, a pochi passi da uno stadio che ora porta il suo nome (a lui è intitolata l’Amsterdam Arena, stadio di casa dell’Ajax), oggi avrebbe compiuto 73 anni.
“Il calcio è semplice, ma è difficile giocare semplice”. Johan Cruijff.
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