Di Gabriele Borzillo
5 Giugno 2021
Dai, su, diciamocelo pure con un filo di voce, di nascosto, toccando ferro o tutto quanto ci aggrada: era tempo che desideravamo una Nazionale di questo genere. Poi, per carità, andiamo con la lista dei luoghi comuni: il pallone è rotondo, si parte sempre zero a zero, il calcio dà il calcio toglie, eh ma un centimetro più in là… aggiungiamoci anche il sempreverde non dire gatto se non ce l’hai nel sacco (cit.), adoro Trapattoni – e chi non lo adora – shakeriamo il tutto giusto per poter dire, in caso di risultato poco brillante alla prossima kermesse continentale “beh, gli dei del pallone non ci hanno aiutato”.
Ma il dato di fatto, in questa gestione Roberto Mancini, è che abbiamo una squadra. E che squadra. Puoi invertire l’ordine dei calciatori ma il prodotto, in sé, non cambia, la massima aspirazione di ogni bravo allenatore che si rispetti. Già la cosa è complicata in un club, con tecnico e giocatori quotidianamente al lavoro, figuriamoci in una selezione nazionale, dove ci si vede una volta ogni tanto. Ecco il motivo per cui bisogna fare l’arcinoto tanto di cappello, a proposito di luoghi comuni, al Mancio, attualmente il più selezionatore tra gli allenatori del panorama indigeno. Non è facile, provatemi il contrario e prometto di cambiare idea, riuscire a mantenere lo stesso modo di stare in campo, la stessa capacità di palleggio, la stessa concentrazione, voglia di arrivare al risultato, come quelle della Nazionale di oggi.
L’ex estrosa seconda punta, trequartista, falso nueve, quel che preferite, Roberto da Jesi, è maturato al punto da essere, oggi, uno dei migliori tecnici al mondo alla guida di una rappresentativa nazionale: che non è impresa facile, proprio per i motivi succitati.
Quella con la Repubblica Ceca, che l’Europeo lo giocherà esattamente come noi, è stata una bella sgambata, un allenamento gioviale tra amici: eppure, ripetiamo, avevamo di fronte una formazione che tra qualche giorno scenderà in campo, in un girone proibitivo o quasi, ma che si è qualificata da buona seconda, dietro l’Inghilterra, segnando poco e subendo meno. Ecco, noi ne abbiamo infilati quattro senza manco dannarci l’anima. Ora, le amichevoli pre europei o mondiali lasciano il tempo che trovano, ne sappiamo qualcosa noi sia nel 1982 come nel 2006, ma indubbiamente la serenità della truppa azzurra lascia ben sperare.
Come arriviamo a Euro 2020? Da grandi favoriti? No, penso sinceramente di no, senza alcuna forma di scaramanzia. Ci sono Nazionali più forti della nostra, rodate, con eccellenze pallonare tra le loro fila: la Francia in primis, il Belgio incompiuto, deve sempre vincere qualcosa e non vince mai nulla, la stessa Spagna e, perché no, l’Inghilterra.
Senza dimenticare la Croazia vice campione del mondo. Insomma, esiste una concorrenza reale, fatta da rappresentative toste, da calciatori affermati a livello globale, da sete di vittoria per successi cha mancano da troppo tempo. Noi siamo lì, pronti ad approfittare di qualunque passo falso delle nostre avversarie. Siamo quel genere di squadra che nessuno vorrebbe trovarsi di fronte perché capace di punirti a ogni minimo errore. Bravi nel pressing, nel raddoppio, nel portare via palla all’avversario e ripartire: senza lo Mbappé di turno o senza i Romelu ma, gran lavoro di Mancini anche in questo caso, con un gruppo dove tutti sono importanti ma nessuno indispensabile.
E torniamo al principio di questa rapida digressione: Mancio ha costruito, formato, plasmato un insieme di calciatori trasformandoli in un blocco granitico. Non imbattibile, sia chiaro, non siamo nel mondo dei supereroi. Però prima del fischio iniziale di Euro 2020 una certezza, rispetto al recente passato, l’abbiamo: contro di noi tutti quanti dovranno dare il famoso 110% altrimenti il rischio di lasciarci, sportivamente, le penne, sarà elevatissimo. Comunque ti chiami e qualunque sia il tuo vero o presunto blasone pallonaro.
Nato a Milano, giornalista, scrittore, speaker radiofonico ed opinionista televisivo, laureato in Marketing e Comunicazione d’Impresa.