Di Gabriele Borzillo
16 Novembre 2020
Che bella cosa veder giocare, finalmente, la Nazionale italiana a pallone. Divertendo e divertendosi. Nonostante tutto. Nonostante perfino un arbitraggio gravemente insufficiente del signor Turpin, lo stesso che a Madrid non vede un fallo gigantesco su Hakimi in occasione del vantaggio dei blancos e che Rosetti, non si capisce bene per quale ragione, rimanda a dirigere una partita importante, dato che c’è in ballo la qualificazione al turno successivo della Nations League, diretta malissimo dal francese. Ma poco importa. Perché gli azzurri, questa volta, sono più forti anche dei non fischi dell’arbitro transalpino che riesce a non vedere una gomitata volontaria di Lewandowski ai danni di Bastoni, con relativo invito del centravanti polacco a rialzarsi come se il ragazzo di Casalmaggiore stesse inscenando una pantomima, poi un calcio di rigore addirittura imbarazzante, fallo di mano su tiro a botta sicura di Belotti, più tutta una serie di decisioni balbettanti e senza apparente significato.
Tralasciamo comunque l’insufficiente direzione di gara e veniamo a ciò che ci interessa maggiormente: la prova di forza degli azzurri. Evidentemente le parole dei giorni scorsi di Chicco Evani e di Bonucci, magari ai più sono sembrate chiacchiere di circostanza visto il momento particolare del nostro calcio, avevano un senso logico, partivano da una base solida – l’atmosfera che si respira all’interno dello spogliatoio, sensazione non comprensibile a chi, come noi, non la vive direttamente – e il gruppo formato da Roberto Mancini insieme al suo staff è davvero, non tanto per dire, una grande famiglia nella quale tutti si sentono importanti e nessuno fondamentale.
La velocità di manovra, le sovrapposizioni, il giro palla quasi sempre di prima, il pressing sull’avversario, i raddoppi, situazioni di gioco che sembrano ormai quasi del tutto automatiche: e non importa chi sono gli interpreti principali della partita, è l’idea che gli interpreti hanno ormai ben stampata nella mente a fare la differenza. In questo Mancini, a oggi sia chiaro, ha saputo fare la differenza con i suoi più vicini predecessori: ha restituito ai tifosi della Nazionale una squadra non solo vincente, anche se siamo tutti curiosi di vedere come si comporteranno i nostri ragazzi messi di fronte ad avversari di alto, altissimo lignaggio – Polonia e Olanda restano comunque rappresentative di buon livello ma più o meno sul nostro range almeno secondo il ranking FIFA – ma anche bella da vedere, con cui riscoprire il lato entusiasmante del pallone.
Ecco, entusiasmo: il Mancio lo ha ridato in primo luogo ai suoi calciatori, poi anche a noi che ne seguiamo con attenzione le rappresentazioni, partita dopo partita, raduno dopo raduno, interprete dopo interprete. Inutile o, perlomeno a nostro parere, poco interessante ripercorrere le fasi di una gara, quella con la Polonia, dominata in lungo e in largo, così come poco utile indicare una sorta di classifica su chi ha fatto meglio e chi meno bene, che malino a addirittura male anche nessuno.
Ormai è chiaro a tutti, compresi i più diretti e feroci critici di Mancini: questa Nazionale è figlia del collettivo, vive su un progetto e non su estemporanee invenzioni del singolo di turno. Che ci stanno, sia chiaro, perché quando hai uno straordinario talento in squadra devi sfruttarlo: ma, almeno personalmente, non mi sembra di vedere nulla di straordinario. Casomai tanti buoni giocatori, alcuni addirittura ottimi, tutti uniti e consapevoli ciascuno della propria forza: provate a seguire con attenzione le partite dell’Italia, osservate come tutti corrano per tutti, come e quanto si aiutino sul campo i giocatori, senza gelosie, senza isterismi, senza protagonismi.
Certo, l’obiezione è facile: non abbiamo ancora fatto nulla, nemmeno raggiunto la fase finale della stessa Nations League. Vero, ci manca l’ultimo gradino, quella Bosnia che all’andata ci ha inchiodati sul pareggio, e oggi ce ne rammarichiamo assai. Ma non è un impegno improbo: casomai, questo sì, l’ennesimo esame verso una maturità sempre più raggiungibile, verso una coscienza di grande squadra che i ragazzi stanno, pian piano, raggiungendo. Ci vediamo mercoledì sera, e non sarà una partita qualsiasi.
Nato a Milano, giornalista, scrittore, speaker radiofonico ed opinionista televisivo, laureato in Marketing e Comunicazione d’Impresa.