Di Alfredo Pedullà
3 Novembre 2020
Zlatan è talmente pratico e carismatico che sintetizza tutto con una frase: “Perché correre se puoi volare?”. In questo concetto c’è Ibrahimovic, minuto per minuto: una questione di mentalità, dovremmo aggiungere mentalità senza limiti. È questo che fa la differenza in casa Milan: non sappiamo se i rossoneri correranno fino in fondo per lo scudetto, è troppo presto per dirlo, anche se Ibrahimovic, al tramonto della scorsa stagione, si era fatto scappare un eloquente “se fossi arrivato a inizio campionato, avremmo potuto lottare”. Per lo scudetto, chiaro. Quindi, se non lo dice e non lo dichiara avrà i suoi buoni e giusti motivi: però, di sicuro lo pensa.
La mentalità non ha prezzo, non è sul mercato, ma se lo fosse avrebbe una valutazione simile a quella di due top player messi insieme, facciamo Lewandowski e Ronaldo contemporaneamente. Questo per rendere una sola idea: quando hai buoni calciatori, sei sicuramente fortunato e puoi lavorare per risultati prestigiosi. Ma quando hai buoni calciatori giovani e magari di grande prospettiva, serve un maestro in grado di prenderli per mano e di caricarseli sulle spalle in caso di necessità. Ibrahimovic è tutto questo, una trasmissione straordinaria di dati ai compagni, una situazione che va ben oltre i sette gol fin qui segnati. Quella è una statistica da fuoriclasse, ma tutto il resto è qualcosa di fantastico che ti trasforma una squadra, a maggior ragione quando in panchina hai un allenatore bravo e pratico come Stefano Pioli.
C’è un esempio che rende l’idea: Ante Rebic. E torniamo alla scorsa stagione, quando Ibra era arrivato da poco e aveva trovato compagni abbacchiati, quasi rassegnati alla mediocrità, reduci da una prima parte sonnolenta e nettamente inferiore alle attese. Rebic era sbarcato con grandi aspettative, non si era inserito, sembrava fuori dai giochi al punto che non era da fantamercato l’idea di un suo addio al Milan già durante la sessione di mercato di gennaio. Invece, ecco Ibra in scena e Rebic si trasformò, segnò con continuità, si tolse di dosso la ruggine e la rassegnazione. Stiamo parlando dello scorso campionato, ma quella è stata una rincorsa che ha provocato tutto il resto.
Prima del lockdown il Milan vivacchiava, dopo il lockdown ha collezionato meraviglie. E sta andando avanti come se lo scorso torneo non fosse mai andato in archivio, come se si giocasse soltanto per la vittoria con percentuali altissima di ottenerla partita dopo partita. Sembrano progetti ambiziosi, sono i fatti di queste settimane.
C’è una lista battezzata da Rebic e che ha diversi frequentatori nel nome di Ibra. Si sono trasformati tutti, partendo dalle loro buone qualità: Kessié è diventato il centrocampista di lotta e di governo capace di segnare gol pesanti come quello di Udine; Bennacer ha acquisito l’autorevolezza già abbozzata in nome delle sue qualità tecniche; Calhanoglu sembra uscito dalla lavatrice, tirato a lucido e con una convinzione prima insospettabile, anche se gli manca l’ultimo scatto verso la continuità. Potremmo continuare con Leao che non è più il misterioso interprete degli ultimi trenta metri, ma anche e soprattutto quello che, se non segna, sgomma sulla fascia, confeziona assist (guarda caso, destinatario Zlatan) come nel derby che valgono molto più di un gol.
Si chiama svolta, trasformazione, convinzione trovata o ritrovata, superego che decolla: fate come vi pare, qualsiasi scelta potrebbe essere quella giusta, in nome di una rivoluzione fantastica. Il Milan ha fatto una scelta chiara, anche negli ultimi giorni dell’ultima sessione di mercato: puntare sui giovani come Hauge e Dalot per lavorare per il presente e per il futuro. Poco importa che Dalot sia un prestito secco dal Manchester United, ci sarà tempo e modo di parlarne. Molto importa invece se pensiamo all’amministratore delegato Gazidis che dice “vogliamo prendere i migliori talenti in circolazione, siamo pronti per gennaio”. Non è un’aria nuovissima perché il Milan ha sempre avuto questo tipo di predisposizione. Ma la novità consiste nel fatto che ora loro sanno di poter consegnare questi ragazzi di qualità a Zlatan per un processo di maturazione rapido e dai risultati garantiti.
Ibra è stato molto onesto quando ha dichiarato che lo scorso inverno è stato lui a chiedere un contratto di sei mesi per non mettere troppa pressione e per vivere il momento senza chissà quali aspettative. È stato molto onesto, molto umile ma in fondo molto realista. Tuttavia, ora che ha compiuto 39 anni, sembra quasi che sia talmente indispensabile da non poter procrastinare il rinnovo del contratto in scadenza. Lui scherza, sorride, si schernisce, prende tutti bonariamente in giro, si diverte come poche volte era accaduto in passato. I suoi 40 anni in maglia rossonera? A questo punto sarebbe sorprendente se accadesse il contrario.
Ci permettiamo un consiglio: quando faranno il nuovo contratto, più che preoccuparsi della base fissa di ingaggio (sempre molto alta) dovrebbero mettere il “bonus mentalità”. Già, la mentalità che trasmette ai suoi compagni, giovani e meno giovani, che lo accompagnano in questa nuova e strepitosa avventura rossonera. La stessa mentalità che non ha un prezzo e che, se si acquistasse al supermercato, andrebbe a ruba. Zlatan Ibrahimovic è uno dei pochi esclusivisti in circolazione.
Giornalista e opinionista sportivo, grande esperto di calciomercato in Italia. "È un privilegio quando passione e lavoro coincidono".