Di Alfredo Pedullà
13 Ottobre 2020
Gli insoddisfatti di oggi, il calciomercato si è chiuso da poco più di una settimana, non è detto che siano felici domani. In fondo manca poco, molto poco, per la controprova: la sessione invernale apre a gennaio e già da fine novembre ci saranno schermaglie, assaggi di trattativa, sondaggi più o meno approfonditi. L’esercito degli infelici è un bel plotoncino che comprende il solito Milik in testa al gruppo, ma anche i vari Llorente, El Shaarawy, Eriksen, lo stesso Dzeko, tutti con motivazioni diverse. Milik ha deciso lui di restare dov’è, una specie di ripicca per non essere andato alla Juve, come se il Napoli avesse dovuto fargli indossare obbligatoriamente il bianconero quando i diretti interessati lo hanno presto scaricato strada facendo.
Milik ha avuto due grandi occasioni. Prima la Roma, era a un passo, ma purtroppo è finita male per altri motivi, lui aveva detto praticamente sì. Poi la Fiorentina, quando mancavano una dozzina di ore allo stop della sessione estiva, che aveva messo a disposizione del Napoli poco meno di 25 milioni per il cartellino e un rispettabilissimo ingaggio da quattro milioni a stagione per Arek. Un’offerta sontuosa e non soltanto rispettabile, ma alla fine Milik ha respinto la semplice ipotesi. E se deciderà anche a gennaio di restare in tribuna, nella stagione che conduce agli Europei, i problemi saranno del club che lo prenderà a zero ma anche e soprattutto i suoi che guarderà gli altri dal salotto di casa. E poi dovrà avere uno straccio di condizione, fisica e psicologica, per esser riconoscibile da una Polonia che lo ritiene indispensabile. Insomma, la ripicca rischia di avere un effetto boomerang così grande che Milik non immagina.
Dzeko ha invece vissuto la frustrazione di chi aveva davvero deciso stavolta di fare il grande salto, eppure è stato respinto al mittente con gravi perdite. È come quando ti arrampichi con le tue gambe e con le tue mani fino al tetto più grande del mondo, ma a un centimetro dal traguardo inciampi e precipiti. Il tetto più grande del mondo per Dzeko era la Juve, una scelta davvero convinta e felice dopo le perplessità delle precedenti sessioni di mercato, quando aveva respinto, nell’ordine, Chelsea e Inter dopo essere andato a un passo dall’approdo. Normale che, tornato in possesso della Roma, il professionale Edin abbia avuto un senso di frustrazione e di noia mortale: inevitabile reazione, dopo aver fatto una scelta diversa. Dal pulmino dei delusi scenderà quando se ne sarà fatto completamente una ragione: la sosta per le Nazionale in tal senso gli sarà servita non poco. In fondo è dipeso poco da lui e molto dagli altri che non gli hanno permesso di coronare un sogno e di rispettare la decisione presa. Certo, in questo modo brucia di più ma siamo convinti che il vero Dzeko, quello che segna con precisione e continuità caricandosi la Roma sulle spalle nei momenti di difficoltà, tornerà molto presto a far capolino. Magari rivisitando il contratto che lo lega al club da poco rilevato dalla famiglia Friedkin.
Ci sono altre tre situazioni ingarbugliate, con diverse chiavi di lettura. Partiamo da Fernando Llorente, uno che i gol li ha sempre fatti prima di scoprire una visibilità con il contagocce. Aveva scelto il Napoli perché ammaliato da Ancelotti, molto presto ha scoperto invece un insopportabile parcheggio in panchina. Insopportabile e allo stesso tempo inevitabile perché Gattuso ha frequentato altre strade per trovare la quadratura del cerchio e per consentire al Napoli di risollevarsi lasciando alle spalle un tremendo periodo di crisi sia in campo che fuori. Lllorente avrebbe potuto tornare in Spagna, ma non lo aveva certo chiamato il Real oppure l’Atletico, e ha detto no. E avrebbe potuto accettare una Serie A di secondo piano, ma comunque onorevole: ha scartato lo Spezia, ha flirtato con il Bologna, ha parlato per qualche ora al telefono con Ranieri – non l’ultimo della compagnia – decidendo di rifiutare. Llorente preferisce il Maschio Angioino come panorama ancora per qualche mese piuttosto che rimettersi in gioco. Deluso lui per non avere avuto offerte all’altezza (avrebbe fatto la quarta punta con Inter o Juve), ma anche chi immaginava che ci avrebbe messo un minimo di orgoglio pur di tornare in quota. Nulla.
La frustrazione di Christian Eriksen è in divenire: la spiegazione è molto semplice. Il ragazzo danese aveva detto sì con assoluta convinzione a gennaio 2020, pensava di diventare presto un asso di briscola e non un due di picche all’interno delle strategia firmata Conte. Ha faticato a diventare titolare, ha pagato un ambientamento troppo più complicato del previsto, anche perché la delusione del suo allenatore nel non aver avuto Vidal ha fatto incredibilmente la differenza nelle valutazioni complessive. Come se fosse colpa di Eriksen il mancato arrivato di “re Arturo”, incredibile realtà.
Ora, siccome non stiamo parlando di un riempitivo, ma di un centrocampista più o meno offensivo che farebbe la differenza in numerosi top club d’Europa, siamo alla svolta, un “dentro o fuori” non certo ipotetico. Lo ha confermato lo stesso Eriksen, qualche giorno fa: “Non intendo trascorrere l’autunno in panchina”. Traduzione semplice semplice, della serie: se non dovessi giocare con una certa continuità, se fossi in eterno il due di picche o di bastoni, sarebbe meglio salutarci a gennaio e trovare una soluzione che vada bene a entrambi. Ecco perché l’attuale infelicità non ha vie di mezzo: sblocco immediato, come quando togli le ganasce a un’autovettura parcheggiata male, oppure tanti saluti e addio automatico.
E poi ci sono le storie sfortunate, quelle che mettono il broncio per mezz’ora o qualcosa in più, destinate in qualche modo a rientrare nel giro di poche settimane. Il protagonista è Stephan El Shaarawy che aveva aperto completamente alla Roma, in prestito e approfittando della lunga sosta cinese con il suo Shanghai Shenhua. Si sarebbe ridotto lo stipendio perché già guadagna tantissimo, il conto in banca garantisce soddisfazioni enormi e per pochi mesi non sarebbe stato un sacrificio.
La Roma avrebbe voluto, senza alcun tipo di perplessità visto che stava piazzando diversi esuberi nel ruolo del Faraone. E poi? Troppa lentezza, l’assenza di un direttore sportivo, procedure in ritardo che stavano per far saltare persino l’invocatissimo ritorno di Smalling nella Capitale di fede giallorossa. El Shaarawy non ha gradito, ha evitato polemiche, ha postato una faccina triste sui social, si è divertito in Nazionale e magari ha intuito che il suo ritorno a Roma è stato solo rinviato di qualche mese. Gennaio è vicino, ci saranno tempi e modi per riassaporare la felicità perduta.
Giornalista e opinionista sportivo, grande esperto di calciomercato in Italia. "È un privilegio quando passione e lavoro coincidono".