Di Fulvio Giuliani
19 Settembre 2020
Si (ri)parte e sembra solo ieri. In effetti lo era, considerato che l’effetto globale della pandemia ha compresso oltre ogni limite i tempi consueti dell’estate del calcio e stravolto la liturgia del mercato. L’effetto è straniante: abbiamo tutti una gran voglia di calcio, come sempre, ma ci manca quell’effetto-fame determinato dalla lunga pausa estiva, stimolata più che placata dalle amichevoli d’agosto. Quest’anno, nulla di tutto ciò, con l’aggravante di un calciomercato asfittico, poverissimo di colpi ed estremamente difficile anche da raccontare.
Il Napoli, esaurito l’effetto-Osimhen all’alba della nuova stagione, si è trovato inevitabilmente imballato nella vicenda Koulibaly. Non tanto per ingordigia, ma per la crisi generale che ha investito il mondo del calcio. Nessuno è in grado di spendere, il futuro è una gigantesca incognita, al punto che potremmo trovarci davanti ad un’ipotesi devastante per gli equilibri del pallone mondiale. Un generale effetto deflattivo sui capitali più importanti delle società, i giocatori. Ai valori pre-Covid, non si vende e si compra quasi più nulla, mentre i prezzi post-pandemia potrebbero devastare i bilanci di mezza Europa. In questo marasma, il Napoli non è tanto il proverbiale vaso di terracotta, piuttosto una società del tutto dipendente da due fattori: la capacità di valorizzare i talenti e garantirsi grandi plusvalenze e gli introiti della Champions League. Mancando questi ultimi, non riuscendo a vendere, ma potendo non svendere, non si può chiedere molto di più alla società azzurra.
Avere i conti in ordine oggi è la vera garanzia per il domani, solo che gran parte dei tifosi se ne frega del bilancio e vorrebbe osannare nuovi idoli. Tenere la barra dritta, però, è il dovere di chi voglia amministrare una squadra di calcio come un’azienda, prima di dover smantellare fra pochi mesi. Questa è una verità che andrebbe ripetuta molto più spesso all’ambiente napoletano, per sua abitudine incline a lasciarsi andare alle emozioni più estreme. In un senso o nell’altro.
Tutto questo dovrebbe aiutare a capire, molto più di qualsiasi interpretazione psicologica, la genesi dell’affaire-Milik. Fuori dal progetto tecnico di Rino Gattuso, il polacco rischiava di liberarsi a zero fra nove mesi e diventare un salasso economico. Davanti a una minaccia del genere, nessuna azienda al mondo – in qualsiasi business – può cedere, senza veder evaporare il suo potere contrattuale. Questa è stata la partita-Milik, nulla di più. Così come il braccio di ferro di queste ore su multe e dintorni non è una ripicca, ma il ribadire un principio di gestione. Piaccia o non piaccia, quello che ha garantito una stabilità finanziaria che oggi è oro.
Domani, intanto, si giocherà e a Parma sarà giusto chiedere risposte tecniche, mettendo da parte almeno per 90 minuti la telenovela Koulibaly. Siamo curiosi, lo ammettiamo: Gattuso dovrà cominciare a costruire un Napoli forzatamente diverso. Le caratteristiche di Osimhen sono tali da imporre una riflessione su come sfruttarlo al meglio, senza stravolgere quell’equilibrio incentrato sul 4-3-3, che ha salvato la stagione e regalato il primo trofeo al tecnico calabrese.
Non sarà facile, ma raramente le cose facili sono anche stimolanti. In molti dovranno saper sacrificarsi, nell’interesse generale. Se ci pensate, questo è il nocciolo della filosofia umana e professionale del mister e vale per tutti. Da Meret e Ospina, sino a Ciro, Lorenzo e all’ossigenata scheggia nigeriana.
Buon campionato, Napoli!
Giornalista, speaker radiofonico, conduttore televisivo ed editorialista. Giornalista professionista dal 2000 conduco da oltre 20 anni “Non Stop News”, una delle trasmissioni di punta della prima radio per ascolti in Italia, RTL 102.5.