Di Massimo Zampini
8 Agosto 2020
Il vero aspetto malinconico dell’eliminazione dalla Champions è che, nonostante giocassimo contro una squadra sulla carta inferiore e il risultato non fosse impossibile da ribaltare, ce la aspettavamo.
La partita di ritorno non ha fatto altro che confermare quanto abbiamo visto durante l’anno: una squadra con alcune ben note, talvolta leggendarie, individualità (e stavolta ne sono mancate un paio, Paulo in particolare), momenti di buon palleggio, raramente in balia della rivale di turno, ma quasi mai con il ritmo, la pressione, il furore giusto e almeno un briciolo di imprevedibilità (nei cambi, nel modo di attaccare e così via).
E questo, sia chiaro, è lo strano calcio post lockdown e senza pubblico, che va giudicato fino a un certo punto, ma le partite a eliminazione diretta sono due e all’andata abbiamo visto ben di peggio, con il Lione privo del suo uomo di maggior spicco e noi scesi in campo timidi, senza nerbo, sotto di un gol dopo un tempo e il risultato era largamente l’aspetto migliore di quanto visto fin lì, prima di una ripresa all’attacco ma sempre così, lenti, senza guizzi.
L’eliminazione più grave degli ultimi anni, perché perdere la finale, uscire con Real e Bayern all’ultimo secondo o comunque andare fuori almeno ai quarti di finale con il talentuoso Ajax di de Ligt e de Jong (altra cocente delusione) dopo avere compiuto una esaltante impresa contro l’Atletico, non è paragonabile a quanto accaduto in questi ottavi di finale contro il dignitoso e ordinato Lione di Garcia.
È complicato giudicare questa stagione, deludente in Europa e nelle coppe italiane di secondo piano, ancora una volta vincente in Italia dove trionfare ogni anno non è affatto scontato. Tanto più se cambi allenatore, modo di giocare, se la rosa è invecchiata e non è quella che speravi e tanto più, alla fine diciamolo, se davvero, come le cronache riportano, non è mai sbocciato il feeling tra tecnico e squadra. Si può parlare di fallimento quando – per di più con questi presupposti – vinci comunque il campionato, peraltro con avversarie sempre in crescita?
No, può farlo solo chi crede che gli scudetti ci spettino per volontà divina e io non sono tra questi, anche se mi aiuterebbe a racimolare qualche like qua e là.
Può definirsi brillante, considerando l’esito delle coppe e le difficoltà viste per tutto l’anno e descritte qui sopra?
No, non è neanche così, e l’unico aspetto rassicurante dell’annuale appuntamento con l’uscita dalla Champions sono le parole di Andrea Agnelli, che spiega con la consueta lucidità che la Champions da qualche tempo è un obiettivo e non un sogno, come a dire che vincerla è complicatissimo, lo sappiamo bene, ma bisogna provarci fino in fondo, non certo uscendo agli ottavi in questo modo, con un avversario ampiamente alla sua portata.
Ha già tutto chiaro in testa, come spesso accade, quando noi siamo ancora ko.
Spiega che va ritrovato entusiasmo. Che la rosa va ringiovanita, che l’attuale gruppo dirigente ha vinto tanto ma non spende, come nei pochi suoi interventi di quest’anno, particolari parole nei confronti dell’allenatore.
Così, probabilmente, saluteremo Sarri, a cui riconosceremo l’importanza di avere portato un altro scudetto, ma con cui il feeling pare non essere mai scattato.
E non sappiamo ancora esattamente quando si ripartirà, se il gruppo dirigente verrà modificato o ampliato, chi sarà l’allenatore, se davvero la rosa verrà adeguatamente ringiovanita o rinforzata, ma come dopo ogni caduta sappiamo che ripartiremo ancora da lì: da Andrea Agnelli, cioè la massima garanzia che la Juve, stanca e incerottata quanto volete, l’anno prossimo sarà ancora al suo posto. Se possibile, con più entusiasmo di prima.
Autore di 4 libri, praticamente identici, cambiando solo il titolo e i nomi dei protagonisti: finale sempre uguale. Blogger e opinionista tv. La frase che mi sono sentito dire di più in vita mia? "Ma come fai a essere di Roma e a tifare per la Juve?"