Di Lapo De Carlo
26 Luglio 2020
Partiamo dal presupposto che l’Inter è seconda in classifica e per una notte è persino arrivata a quattro punti dalla Juventus, un distacco che a due giornate dal termine, non era mai riuscita ad ottenere negli ultimi nove anni.
La Juventus ha rallentato parecchio e l’Inter ha pagato caro la follia degli ultimi minuti nelle partite con Sassuolo, Bologna e Verona. Ora restano aperti più fronti e Conte deve fare una scelta tutt’altro che banale. La vocazione dell’Inter e del tecnico è quella della vittoria, per ora più spostata verso Conte, perché sono tanti i giocatori privi di quell’agonismo necessario per ottenere qualcosa in più.
L’Europa League è lì a due passi, il Getafe è una squadra tosta, ma ci si deve chiedere quanto sia necessario l’impegno in coppa, quando in questo anno surreale la nuova stagione parte tra un mese e mezzo.
Se l’Inter dovesse davvero arrivare fino in fondo rischierebbe (come Napoli, Atalanta, Roma e Juventus) di compromettere il necessario riposo degli atleti e la preparazione fisica nel residuo tempo a disposizione.
La squadra ha già perso diversi pezzi, quasi tutti a centrocampo e ha le pile scariche.
Conte deve valutare con lo staff la necessità di un impegno ulteriormente logorante, a fronte di una nuova stagione a distanza tanto ravvicinata.
La partita di Marassi ha anche confermato la deriva di Lautaro Martinez, in stato di abbandono psicofisico. È persino complicato capire se il problema sia equamente spartito tra testa e corpo o penda più da una parte. Da quando è iniziato il corteggiamento del Barcellona l’attaccante ha interrotto l’attività agonistica, entrando in una dimensione solitaria e controversa. Corre e tenta anche qualche spunto, ma al primo soffio di vento cade a terra, privo di quella rabbia, della straordinaria furbizia, unita ad un invidiabile smalto fisico che lo aveva consegnato agli atti come il miglior giocatore dell’Inter insieme a Lukaku.
Da gennaio è iniziato il declino e dopo la sosta dovuta al lockdown, il giocatore è tornato in campo con ancora meno convinzione.
Sono sempre di più i tifosi dell’Inter che a questo punto cominciano a sperare che arrivi una vera offerta dal Barcellona (il presidente catalano Bartomeu ha confermato che al momento la situazione è ferma) o da altre squadre, per poterlo cedere ma c’è anche la strisciante sensazione che a settembre potremmo rivedere il giocatore ammirato per diversi mesi.
Il secondo caso è quello relativo a Eriksen che invece continua ad avere la sufficienza scolastica. Gioca, corre e tenta di capire il calco italiano, ma va valutato quanto possa ritrovarsi in questo tipo di calcio, in un modulo poco adatto alle sue inclinazioni.
Il mezzo caso è legato al più immateriale dei presupposti: la mentalità. Inseguita da anni, oggi più vicina ma non ancora messa a fuoco da una squadra ottima che ha il torto di non essere eccellente.
Non c’è quasi nessuno all’Inter che abbia la certezza di restare in nerazzurro anche la prossima stagione: da Brozovic a Skriniar, da Godin a Sensi, da Candreva a Biraghi, passando da Moses (che a Genova ha giocato piuttosto bene), Gagliardini e D’Ambrosio. Gli unici certi sono Handanovic, De Vrij e Lukaku.
Persino Eriksen potrebbe essere già sacrificato, nel nome di una squadra con le corde giuste per accontentare Conte e le ambizioni del club.
Ho citato tanti nomi, ma è altamente improbabile che l’Inter con così poco tempo a disposizione e una squadra con una base più solida del passato, ricorra all’ennesima rivoluzione. L’opzione più probabile è che l’Inter mantenga l’ossatura attuale e punti ad innesti di alto livello (come Hakimi), migliorando i due aspetti nodali: la panchina e l’acquisto di almeno un fuoriclasse con una mentalità che irradi il resto della squadra, beninteso che quell’uomo non sarà Messi.
Giornalista e direttore Radio Nerazzurra, opinionista a Sport Mediaset e TL, insegno comunicazione in Università e ad aziende. Ho un chihuahua come assistente e impartisco severe lezioni nella nobile arte del tennis ad amici e parenti.