Di Alfredo Pedullà
30 Giugno 2020
Achraf Hakimi è un piatto di caviale gustosissimo e prestigiosissimo che ti mettono sul tavolo e non puoi dire no. Scendiamo in campo: non esiste oggi terzino destro migliore per il 3-5-2 di Conte. Se ne esistesse uno, a quei livelli, sarebbe Alexander-Arnold ovviamente incedibile per il Liverpool. Invece Halkimi aveva chiesto al Real di andar via: un po’ sapeva di essere sacrificato in un sistema di gioco completamente diverso rispetto alle sue abitudini. Molto perché non ha saputo resistere alla tentazione Conte, all’Inter che vuole scalare le classifiche e cancellare altri step per essere sempre più competitiva e per vincere. Sì, finalmente vincere, è questa l’unica cosa che conta.
L’Inter si accorse di Hakimi quando andò a sbattere contro un tir, il marocchino appunto, nella gara di Champions a Dortmund. Quella notte tedesca, fatale ai fini dell’eliminazione nerazzurra, sancita poi dal ko contro le riserve del Barcellona, ma indirizzata dallo show del classe ’98 quando sembrava che l’Inter avesse messo il turbo in Germania. Invece, il turbo lo mise lui – l’incontenibile Achraf – con una doppietta straordinaria e una prestazione che fece venire il mal di testa non soltanto agli avversari che si trovarono nella sua zona di competenza, ma a qualsiasi testimone diretto o indiretto del mondo nerazzurro.
Forse quel giorno Conte pensò che sarebbe stato il momento di chiedere un regalo così sfarzoso. Partendo dal presupposto, fondamentale, che le sue squadre decollano e diventano competitive soprattutto se sulle fasce riescono a sprigionare potenza, progressione, qualità, assist e gol. Tutte caratteristiche che sono il vademecum di questo ragazzo ventunenne che ha segnato quattro gol in questa Champions fondamentale per la sua consacrazione, che ha distribuito nove assist e quando parte non è di sicuro un semplice treno lanciato ma un turbo a velocità altissime. Con tutto il rispetto che dobbiamo ai vari Candreva e D’Ambrosio, sarebbe come passare da un buonissimo piatto di spaghetti al pomodoro che ti consente di placare l’appetito al famoso caviale prestigiosissimo che di solito non trovi facilmente e che – se davvero dovessi trovarlo – sarebbe il caso di centellinarlo e di chiuderlo a tripla mandata in frigo. Hakimi non è soltanto corsa ma magia nella corsa, dribbling e fantasia, predisposizione a premiare il compagno meglio piazzato oppure ad andare in prima persona fino in porta. Di terzini così, in giro per il mondo, ne trovi pochissimi. E se riesci a trovarlo, costano davvero un occhio della testa.
La costruzione della nuova Inter passa attraverso il rispetto di alcuni passaggi che non possono essere a vuoto. Nella sessione invernale Conte aveva chiesto Moses a destra e Young a sinistra, lui ne vuole almeno quattro o cinque di fascia in modo da poterli alternare. Moses è stato al servizio della causa, ma si immaginava che non avrebbe avuto troppi lampi. Serviva un crac, il grande investimento si chiamava Hakimi, una situazione monitorata – con grande attenzione – a fari spenti, nella speranza di anticipare la concorrenza. Strategia perfetta perché già qualche mese fa Hakimi ha aperto all’Inter e l’Inter ha chiuso il portellone andando in fase di decollo. Aveva deciso di non restare al Dortmund, anche perché lo stesso Borussia non si sarebbe potuto permettere di spendere quella cifra. Il Bayern si è soltanto informato ma quando l’ha fatto era stato scavalcato dall’onda nerazzurra. Il Manchester City è stato il club che, con tutte le innegabili difficoltà di questo periodo, ha cercato di inserirsi fino all’ultimo. Evidentemente Cancelo non è il prototipo preferito di Pep Guardiola, un cavallo spesso zoppo con tutti i limiti dal punto di vista tattico. Ma torniamo al solito discorso, in una linea a quattro perdi il 30 o il 40 per cento di Hakimi, lo costringi a partire da più lontano, mentre lui è solitamente un motore rombante che ha bisogno di restringere il raggio d’azione e di sprintare dalla metà campo in su senza perdersi in troppe chiacchiere. Esattamente quanto farà con mastro Conte. Ora, sei hai preso uno come Achraf ti sei portato molto avanti con il lavoro. E a quel punto ci vorrebbe una soluzione più o meno a quei livelli sulla corsia mancina, diciamo più o meno perché è molto complicato trovare un omologo di Hakimi; potrebbe accadere soltanto se Alaba rifiutasse il mega rinnovo che gli sta proponendo il Bayern. Oppure se andassi su profili affidabili come Emerson Palmieri (occhio alla Juve, però, Sarri lo insegue dalla scorsa estate). Ma è difficile, molto difficile, trovare un tizio che possa garantire lo stesso rendimento che l’Inter chiederà al signor Hakimi. E lo otterrà.
Questo mercato diverso dal solito, talmente diverso da non essere decifrabile, impone scelte chiare e – se vogliamo – tra il coraggioso e il rischioso. Ci spieghiamo: l’Inter ragiona attraverso priorità, a costo di mettere in stand-by trattative molto interessanti, che potrebbero costituire un rimpianto ma che evidentemente non hanno la stessa priorità. Un esempio? Kumbulla. All’Inter piace moltissimo, è il 2000 del presente e del futuro, ma se hai già Godin (a sei milioni di ingaggio) da sistemare, normale che tu non possa pensare di spendere una trentina di milioni togliendoli a quello che è un obiettivo urgente.
Il discorso vale per Tonali, assolutamente in orbita Inter, ma il centrocampo è già ottimo e abbondante tra Sensi (da riscattare), Barella, Brozovic, Eriksen, eventuali e varie. Ecco perché si parla di priorità: ci saranno i giorni di Tonali, ma bisognava utilizzare gli ultimi momenti di giugno per dare più forma a un progetto già molto competitivo che ha bisogno di aggiustamento. Se hai un bellissimo attico con super attico e ti mancano le luci giuste per renderlo ancora più elegante, di sicuro non vai ad acquistare un’altra stanza, ma pensi alle illuminazioni e quindi alle soluzioni che ti possano permettere il definitivo salto di qualità.
Non a caso l’Inter ha mantenuto una coerenza straordinaria nel capitolo Lautaro: se avesse voluto, avrebbe potuto incassare un fantastico tesoretto (facciamo 70 milioni, il Barcellona difficilmente si sarebbe spinto oltre) ma ha preferito pretendere la clausola da 111, in vigore nei prossimi giorni, sapendo che la situazione attuale dei catalani non avrebbe permesso e non permetterebbe – senza escludere evoluzioni diverse – di investire tutti quei soldi. È una strategia giusta che rappresenta una prova di forza, della serie: non ho bisogno di soldi, quindi se non paghi quanto pattuito per me resistere è una necessità. La prossima volta sarebbe forse meglio non mettere una clausola, in modo da essere libero in eterno di dettare le tue condizioni. L’Inter è stata un po’ sul filo per il timore che Lautaro potesse uscire allo scoperto e chiedere di andar via, ma se l’è giocata bene. E pensando alla famosa operazione Hakimi, possiamo dire che utilizzerà una parte di quanto incasserà per il riscatto di Icardi da parte del Paris Saint-Germain e migliore collegamento tra entrate e uscite non ci potrebbe e essere. Questo non è un dettaglio ma un’assoluta necessità quando sei reduce dai famosi paletti del FPF e non sai bene, il discorso vale per tutti, quali saranno gli effetti del Covid-19 anche per i club più famosi e ricci per i danni non indifferenti che hanno avuto. Quindi, bisogna viaggiare sempre nel perfetto equilibrio tra entrate e uscite. E l’Inter ha ottemperato come meglio non avrebbe potuto.
Chi dice che il Real mai si sarebbe liberato di Hakimi se fosse stato un top, evidentemente ha la gelosia di chi avrebbe voluto avere un interprete di fascia come il marocchino e non lo avrà. Se pensiamo allo scambio Cancelo-Danilo e al rendimento davvero mediocre del brasiliano approdato in bianconero, arriviamo alla soluzione che i famosi terzini (o esterni bassi) costano un occhio della testa e quindi è giusto che li vada a cercare aprendo la cassaforte piuttosto che impostando scambi dal ritorno tecnico improbabile. Quindi, complimenti all’Inter, la storia della volpe e l’uva anche in chiave di calciomercato può rendere bene l’idea.
Adesso, però, siamo sinceri e andiamo al cuore del problema: non sappiamo giudicare il lavoro di Antonio Conte prima che finisca la stagione. Meglio: sappiamo che ha dato una bella mentalità, una mentalità che può diventare vincente, soprattutto nei primi quattro o cinque mesi di stagione. Ma se non vincesse un trofeo, dopo quelle mega operazione di mercato che gli hanno confezionato, non sarebbe di sicuro una medaglia al petto. Anzi, probabilmente sarebbe una medaglia al contrario, perché qualcosa devi vincere, magari una Coppa Italia oppure l’Europa League, evitando di farti sbattere fuori dalla fase a gironi di Champions. Ma l’Inter confida in Conte, ha fiducia totale, altrimenti non sarebbe andata su Hakimi nel rispetto assoluto del gradimento più alto di don Antonio. È un atto di fiducia ma anche un messaggio: se non vinci qualcosa oggi, devi farlo domani. Rigorosamente. Altrimenti, qualsiasi allenatore al mondo sarebbe indifendibile.
Giornalista e opinionista sportivo, grande esperto di calciomercato in Italia. "È un privilegio quando passione e lavoro coincidono".