Di Mauro Suma
Aggiornato: 27 Aprile 2020
All’inizio degli anni Ottanta, per un attimo, la mia fede rossonera aveva vacillato. Udite udite… Proprio così, la valigetta con i soldi di Milan-Lazio e la retrocessione in Serie B per illecito sportivo era stato un duro colpo. I ragazzi hanno il senso dei valori molto radicato, molto forte, molto alto. Per tutta la stagione 1980-81, non ho messo piede a San Siro, anche se avevo ripreso ad acquistare, per affetto e abitudine, il mensile Forza Milan! nei primi mesi del 1981. I due aspetti che mi hanno riavvicinato allo stadio, a partire dall’autunno 1981, sono stati: la sensazione che il Milan sia stato colpito duro anche per renderlo capro espiatorio di tutto lo scandalo, mentre altri che avevano comunque una partita sulla coscienza l’hanno fatta franca… e poi l’arrivo di Joe Jordan, un gigante che mi fece innamorare al primo gol segnato con la maglia rossonera, nel derby di coppa Italia di inizio stagione. Un derby in perfetta sintonia con quei tempi duri: il Milan vinceva 2-1 e aveva dominato la partita, era qualificato al turno successivo, poi però il pareggio di Bergomi al 90esimo… Chi ha scelto, chi ha voluto, chi ha sentito dentro di sé la forza di essere tifoso del Milan per sempre, non ha scelto una squadra facile. Niente nella storia rossonera è lineare, scontato, semplice. Sofferenze devastanti e gioie da estasi. Senza mezze misure. Ma la cotta per lo Squalo durò poco, si vedeva che la forza era quella che era, che la sua energia non era più quella di un tempo. Dava tutto, si batteva, si faceva voler bene, Joe. Ma non era irresistibile, non era dominante. Lo squalo di Carluke non era vecchissimo, aveva 31 anni, ma i segni delle sue tante battaglie si vedevano sul suo fisico, sulla sua agilità. Resta un mito con le sue braccia alzate sotto la Curva, ma per rinascere davvero ci voleva qualcosa d’altro, qualcosa in più.
E’ questo il momento in cui entra sulla scena l’amore calcistico di sempre, il John Wayne che ti salva e che ti cambia la vita. Perché sapete, quando si ama, si ama di più nel momento duro. Chi ti risolleva non è mai come chi ti accompagna. Quando tutto è diventato bello era “facile” essere Van Basten, essere Shevchenko, essere Kakà. Il cuore torna a battere, ma il primo battito resta il primo battito. Ecco perché John Wayne…Proprio così: Attila non si chiamava solo Mark. Il suo nome completo era, ed è, Mark Wayne Hateley, figlio del bomber dell’Aston Villa Tony e di mamma Mary. Aveva ancora 23 anni Mark quando fece irruzione sui giornali italiani. E venne vissuto male, perché il Milan stava inseguendo ben altri giocatori per il ruolo di prima punta nella stagione 1984-85, la seconda consecutiva in Serie A. Una mossa di mercato che non si poteva sbagliare, perché era dura sentire le bocche interiste che ripetevano sempre la stessa solfa: “Se il Milan è in A bene, meglio, vuol dire che abbiamo 4 punti in più”. I 3 giocatori trattati dal Milan erano: Ian Rush, Rudy Voeller e Fernando Gomes. Giocavano in 3 grandi squadre: il Liverpool, il Werder Brema, il Porto. Tutti e tre già pronti, già famosi, già in grado di far sognare. Ma, durante i primi abboccamenti per il gallese Rush, il Milan venne a sapere che se il Liverpool avesse ceduto il suo bomber titolare al Milan lo avrebbe poi rimpiazzato con un ragazzo: Mark Hateley, già campione d’Europa under 21 con la nazionale giovanile inglese e 22 gol all’attivo nella stagione di club 1983-84. Se lo cerca il Liverpool, perché non ci proviamo noi? Risparmiamo e magari facciamo un colpo. Rispetto agli alti tre sogni proibiti, Hateley era una scommessa, ma vedendo i suoi filmati Nils Liedholm sentenziò: “È buono…”. La trattativa non fu semplice: sulle prime Mark voleva lo stesso ingaggio di Ray Colin Wilkins, che i rossoneri avevano appena acquistato dal Manchester United. Ma Wilkins era già un campione consacrato…alla fine l’accordo venne raggiunto. Tutti felici e contenti.
Capelli lunghi, sembrava il primo Pierino Prati del Paron Rocco, quando tornò dal Savona al Milan. Ma il colpo di fulmine esplose in campo. Può accadere che le avventure più belle del Milan possano iniziare senza vincere a San Siro. Il Milan di Sacchi era partito con uno 0-2 contro la Fiorentina di Baggio e Diaz. E il Milan di Liedholm quattro anni prima era partito con un 2-2 casalingo contro l’Udinese: gol di Virdis e Hateley. Ma che divertimento! E il 2-2 stava stretto al Milan raggiunto nel finale; ma attenzione contro l’Udinese di Zico! Il primo Hateley era innamorato di San Siro, ricambiato, e segnava solo a San Siro. Niente gol a Firenze, Torino e Napoli, ma doppietta alla Cremonese e gol alla Roma. Attenzione, anche qui: Milan-Roma 2-1, contro i giallorossi che avevano appena giocato la finale di coppa dei Campioni, la Roma di Falcao. L’urlo di San Siro esplode a metà ripresa, con il Milan avanti già 1-0. Vicino alla porta dell’ex rossonero Tancredi, Mark sradica letteralmente da terra Sebino Nela, ed era dura, credetemi, e mette la palla sotto la traversa. Sei il nostro uomo, oggi e per sempre! Eppure il bello doveva ancora venire. Dopo il pareggio di Napoli e il gol di Altobelli dopo dieci minuti nel derby, sembrava di sentirli gli interisti: “Cosa vi avevamo detto, meglio se il Milan gioca in A…”. Ma ecco, dopo il pareggio di Di Bartolomei, ancora a metà ripresa, l’angelo vendicatore. Fulvio Collovati allarga le braccia, ma in cielo ci va lui e solo lui: gol! Sotto la curva! Derby vinto dopo 5 anni di attesa! Amore eterno: Hateley diventa Attila. Altro che Kalle…2 punti all’andata e 1 al ritorno: 3 punti rossoneri nel derby! Da John Wayne ad Attila, sempre guerrieri, sempre figure mitiche. Peccato solo per quel menisco operato poco dopo chissà come e per quegli screzi con Farina. Avrebbe potuto essere amore eterno, ma è amore lo stesso, il primo, l’indimenticabile angelo vendicatore nato a Derby!
Giornalista e Consultant AC Milan, milanista da trincea più che da salotto, radio e tv nelle corde, derbyderbyderby.it nel cuore. Per ogni articolo preparo e curo anche le virgole, ma per ogni telecronaca porto con me solo le emozioni.