Di Massimo Zampini
14 Febbraio 2020
La Juve è in difficoltà, per esempio. Dopo un proficuo inizio di anno con le belle vittorie in Coppa Italia e la trasferta di Roma, la squadra si è persa a Napoli, solo parzialmente ritrovata contro la Fiorentina, nuovamente e ingenuamente smarrita a Verona e non si è ritrovata a Milano, dove ha giocato con tanto palleggio ma con poche idee, pochissime occasioni e ancor meno tiri in porta. Manca chi prende l’iniziativa, mancano gli spazi perché spesso ci imbottigliamo al limite dell’area avversaria, dove ormai ci aspettano compatti gli avversari pronti a bloccarci e ripartire. Ramsey non decolla, Matuidi non è certo nella sua miglior stagione, Pjanic è involuto da un po’.
È come se il progetto di Sarri, partito con illusori alti e comprensibili bassi, si fosse bloccato così, non riuscendo più a rivitalizzare una squadra che appare scolastica e prevedibile: il punto è che non c’è più tempo da perdere, perché ieri stavamo per perdere la terza trasferta in un mese e non ci siamo abituati. Arrivano il Lione, l’Inter, il ritorno della partita di ieri: il tempo dell’ambientamento, dopo sei mesi di Juve, deve considerarsi in esaurimento. Ben vengano più confronti con Presidente e soprattutto giocatori, si trovi una strada per ripartire, ovviamente fregandosene delle tragicomiche polemiche esterne finite persino alle Poste, ma lavorando duro perché davvero il percorso iniziato a settembre pare a un punto morto, proprio quando il gioco si sta facendo duro e dovremmo cominciare a giocare.
Dybala sta benissimo, dribbla, costruisce, trova falli e pare l’unico con qualche idea, ma da qualche tempo sapevamo anche questo. Probabilmente non occupa l’area come vorrebbe idealmente Sarri, sicuramente a volte con lui sembriamo un po’ spuntati, ma quando Paulo sta così è impossibile farne a meno. Pareggiamo perché Ronaldo si inventa una rovesciata e poi segna il rigore con la consueta freddezza, come se un penalty al novantesimo in un momento così non contasse nulla. Ma stiamo parlando di Ronaldo, non ditemi che non lo sapevamo.
Il rigore e le moviole, eccoci. Qui conoscevamo tutto nel dettaglio ben prima di Milan-Juve, magari fosse solo da ieri. Da almeno qualche decennio, da quando cioè gran parte dei media ha scelto di cancellare il calcio e trasformare i commenti in una moviola infinita, in cui i tifosi avversari si rinfacciano episodi invece di sfottersi e confrontarsi su giocatori, squadre, vittorie e sconfitte: così, una partita in cui alla Juventus viene negato un rigore, in cui i giocatori diffidati del Milan commettono falli per cui è impossibile non essere ammoniti, in cui non viene sanzionata una manata di Kessie al limite dell’area, diventa un solo gigantesco “Rabbia Milan” perché al novantesimo viene concesso un rigore che, con un tiro respinto dalle braccia così larghe, viene ormai concesso praticamente sempre.
Fate questo gioco. Provate a parlare di calcio, con un amico di fede opposta. Insistete, provateci: il bel gol di Rebic, la sponda di Ibra, le difficoltà della Juve, le parate di Buffon a 42 anni. Non ci riuscirete, perché i media hanno deciso così. Altro che social e tifosi cattivi, i problemi nascono proprio se chi racconta il calcio non sa chiedere altro degli episodi, non sa parlare altro che di quello, non sa fare tweet se non sui falli di mano e la moviola (e li fa pure faziosi, dimenticando gli episodi di segno opposto), non sa fare titoli se non appunto sulla “rabbia” degli sconfitti.
Finché non si trovano di fronte un Maldini, gigante di questo sport, che li guarda sorpreso, “non ho capito a cosa ti riferisci”, “no non voglio parlare di ammonizioni e rigori”. Vuole parlare di calcio e non sa che, se davvero ha questo strano desiderio, è nato nel Paese sbagliato.
Autore di 4 libri, praticamente identici, cambiando solo il titolo e i nomi dei protagonisti: finale sempre uguale. Blogger e opinionista tv. La frase che mi sono sentito dire di più in vita mia? "Ma come fai a essere di Roma e a tifare per la Juve?"