Di Fabrizio Biasin
Aggiornato: 13 Novembre 2019
(Di seguito un pezzo scritto da me medesimo e dedicato a Nicolò Barella nel novembre 2017. In questa noiosissima fase dedicata alla pausa per le nazionali lo aggiorniamo con opportune parentesi. Buona lettura, se vi va)
Vorrei avere 20 anni e giocare da predestinato nella squadra della mia città.
(Sì, giocava a Cagliari).
Vorrei approcciare al calcio con codesto genere di semplicità: il pallone arriva e si incolla al mio piede. Sempre.
(quasi sempre)
Vorrei aver giocato da protagonista nelle Nazionali Under 15, 16, 17, 18, 19, 20; vorrei aver vinto l’argento agli Europei Under 19 in Germania nel 2016, vorrei aver conquistato il premio come miglior centrocampista italiano classe 1997 per due anni di fila (2012-2013) e vorrei essere al centro del progetto Under 21 di Gigi Di Biagio.
(nel frattempo è diventato leader del centrocampo di Roberto Mancini, ct della Nazionale dei grandi. Di più è impossibile).
Vorrei essere delicato di piede – lo abbiamo già scritto – ma in contemporanea anche “cattivo” nei fatti, così che nessuno possa dire che sono una “fighetta” buona per palleggiare sulle Ramblas, ma neanche un disperato ridotto a tirar pedate assassine a chiunque capiti a tiro.
(le pedate continua a tirarle, il piede delicato c’è eccome, chiedere a Silvestri, portiere del Verona).
Vorrei riuscire a correre con la palla tra i piedi e contemporaneamente avere la testa alta, anzi altissima; la “testa” tipica di chi non ha tempo di badare al pallone, perché tanto ha già deciso a chi passarlo.
(Così era, così è).
Vorrei che tutti dicessero di me (addetti ai lavori, non addetti, professionisti del Fantacalcio e dopolavoristi) “c***o, questo è forte davvero! Beato chi se lo piglia!”.
(Se l’è pigliato l’Inter. L’ha pagato molto, ma le cose belle… costano).
Vorrei persino essere “alto” 172 cm, se solo bastasse ad avere quella predisposizione al “pirlismo pallonaro” (nel senso di Pirlo, il calciatore, non di pirla, lo scemo).
(No, qui ci siamo sbagliati: per il momento, a Pirlo, somiglia poco).
Vorrei addirittura collezionare lo stesso numero esagerato di cartellini gialli, se solo fosse la condizione necessaria per avere cotanto talento da spacciare al mercato nero.
(I gialli sono rimasti. Pure troppi a guardar bene).
Vorrei riuscire a giocare in tutti i ruoli del centrocampo – mezz’ala, trequartista, mediano – sempre con la stessa efficacia e con la leggerezza di chi, al primo tocco, sa tranquillizzare il suo pubblico “perché tanto lui la palla non la perde”.
(Alla fine è diventata una mezz’ala. E, sì, “tanto lui la palla non la perde”).
Vorrei avere lo stesso tiro incazzato.
(e delicato all’occorrenza: vedi sopra).
Ecco, al limite non vorrei aver fatto parte – pur non giocando – della Nazionale di Ventura, ma al contrario vorrei potermi prendere la responsabilità di dire “sì, ce la metterò tutta per essere il faro azzurro post-cataclisma”.
(Sta accadendo).
Signori, non so voi, ma io sono un invidioso e di Nicolò Barella vorrei tutto, forse addirittura il cognome, ben sapendo che invece non mi toccherà una mazzafionda.
Oh, non so quale sia il vostro pensiero sul frugoletto, ma qui rischiamo seriamente di ritrovarci nel campo dei predestinati, quel genere di giocatori che li forgiano e buttano lo stampino. E guai a noi se non ci rendessimo conto che è presto per parlare e sentenziare, ma “guai a noi” anche se facessimo finta di non vedere.
(confermiamo, sottoscriviamo, ribadiamo)
Nicolò Barella ce l’ha regalato il Dio del calcio, lui “sapeva” che fine stava facendo il nostro usurato pallone tricolore e ha pensato di mandarci un prodigio sardo con cui provare a ripartire. E se anche non è andata così, pazienza: a noialtri piace crederlo.
(due anni dopo, ne siamo sempre più convinti).
Nato a Milano per far felice mamma. Venditore di fumo. Opinioni non richieste su qualunque cosa. Ex terzino promettente "ma poi mi sono rotto il ginocchio". Militesente. Automunito. Ero biondo.