Di Fabrizio Biasin
6 Novembre 2019
In un celebre spot di qualche tempo fa una signorina che ci piacerebbe definire “gran bonazza” (ma in tempi di Me Too si rischia l’ergastolo e quindi eviteremo) diceva al compagno di merende: “Antò, fa caldo”. Quello le porgeva il tè freddo con i biscotti. Lo spot terminava in maniera ambigua, ma è probabile che i due finissero col fare all’ammmore come cercopitechi.
Questo inutile preambolo serve in qualche maniera a introdurre l’argomento pallonaro di giornata e a ribadire che, nonostante novembre sia bello che iniziato, per Antò, sì, fa caldo. E Antò in questo caso è Conte, tecnico arroventato nel post Borussia-Inter 3-2, tipico risultato che farebbe venire l’orchite perfino a un frate cappuccino e figuratevi se non la fa venire a quel satanasso dell’ex ct.
A partita terminata Conte si presenta in conferenza e glielo leggi in faccia che non ha voglia di raccontarti la favoletta della buonanotte. Dice così (in ordine sparso): “Magari venisse anche qualche dirigente a dire qualcosa”. E uno. “La programmazione l’ho fatta io con i dirigenti. Mi sono fidato su alcune cose, ma non avrei dovuto fidarmi. Parlo dei limiti della rosa”. E due. “Non posso dire niente ai giocatori. Possiamo mettere in difficoltà chiunque ma vengono a dirmi: Mister io le ho giocate tutte, come faccio?”. E tre. “La Champions League è compromessa. Questa sera per me è una ferita. Mi auguro che anche altri la sentano come me”. E quattro. “Più di così non possiamo fare. In estate sono stati fatti errori importanti, non possiamo fare campionato e Champions in queste condizioni, non si può essere così tirati. Si poteva programmare molto ma molto meglio. Sono incazzato e mi sono stufato di ripetere sempre le stesse frasi, venissero anche i dirigenti a dire due cose”. E cinque.
Sì, Antò, fa caldissimo.
Poi, sulla partita e in particolare sul secondo tempo: “Dobbiamo ancora analizzare la situazione”.
Sembra tutto abbastanza chiaro: Conte fa Conte, né più né meno.
E veniamo al dunque. Dopo aver ascoltato quello che potremmo definire “sfogo bestiale e sentitissimo” i casi sono due:
1) Marotta si è risentito.
2) Marotta non si è risentito.
Propendiamo per la 2) per il semplice fatto che Beppone ben conosce il suo allenatore e, quindi, mica scende dal pero. Appena potrà, l’ad nerazzurro ribadirà il concetto già espresso alla recente assemblea dei soci: “La società è al fianco del suo allenatore e a gennaio farà tutto quello che serve per assecondarlo”. Tradotto: un centrocampista te lo prendiamo, magari anche un vice-Lukaku, ma solo se il mercato offrirà delle reali opportunità e, comunque, prima vediamo cosa succede in codesto girone di Champions (con due vittorie contro Slavia e Barcellona l’Inter si qualifica per gli ottavi del Coppone: non è affatto facile, ma almeno c’è ancora una speranza).
E allora la questione è tutta qui: Conte “fa Conte” e non bisogna meravigliarsi o indignarsi, ma di sicuro poteva andarci meno pesante. La squadra non è al livello della Juventus in campionato e non lo sarà neppure dopo il mercato di gennaio, stesso discorso anche per quanto riguarda le avversarie di Champions però… non è mica una novità, suvvia.
L’Inter è passata da una condizione di obbligata austerità (settlement agreement) a quella di chi vuole provare a crescere (oltre cento milioni investiti sul mercato estivo); pensare di riuscire a fare di più in una sola sessione di mercato, francamente, era impossibile. È vero, la rosa ha ancora dei difetti, sia dal punto di vista “qualitativo” che “quantitativo”, ma la cosa è chiara oggi così come si poteva intuire ad agosto (gli infortuni fanno parte del gioco, ahinoi).
Eppure le cose non vanno così male da giustificare siffatta incazzatura. È vero, sul lungo periodo si rischia di avere ulteriori problemi, ma è anche vero che è una condizione comune a molte squadre ed è pure vero che proprio per superare determinati ostacoli si è scelto di puntare sul più bravo (e pagato) tra gli allenatori.
Alla conferenza stampa di inizio stagione Marotta disse: “Lui (Conte ndr) è il nostro top player”. Conte rispose: “No, i top player vanno in campo”. Insomma, avevano già chiarito le rispettive posizioni. Oggi, dopo questo fastidiosissimo ko, la faccenda torna a galla. Sapete come andrà a finire? Marotta – maestro di strategia – coccolerà il suo allenatore, l’allenatore terrà il muso fino a gennaio e nel frattempo chiederà ai suoi giocatori “sforzi immani” (giocare a calcio più del previsto. Giocare. A. Calcio), quindi si troverà il modo di accontentare tutti.
E allora finiamola qua, in fondo, dopo una sconfitta, l’unica cosa che conta è vincere la partita successiva (sabato contro il Verona). Sia chiaro, non saranno gli eventuali 3 punti a far passare l’incazzatura ad Antò, del resto “non incazzato” noi non lo abbiamo praticamente mai visto (per fortuna, tra l’altro. Se dicesse “va tutto bene” allora sì ci sarebbe da preoccuparsi).
Nato a Milano per far felice mamma. Venditore di fumo. Opinioni non richieste su qualunque cosa. Ex terzino promettente "ma poi mi sono rotto il ginocchio". Militesente. Automunito. Ero biondo.